Ignazio Visco (foto LaPresse)

Ecco perché i Pir 2.0 rischiano di essere un flop

Mariarosaria Marchesano

I nuovi Piani individuali di risparmio voluti dal governo gialloverde al debutto tra i dubbi di Bankitalia, Assogestioni e la concorrenza degli Eltif. Storia di un pasticcio

Milano. "Le nuove regole possono rendere più difficile il rispetto dei requisiti prudenziali di diversificazione e di liquidità previsti per i fondi Pir esistenti, tutti costituiti nella forma di fondi aperti". E' la critica che la Banca d'Italia ha mosso ai nuovi Piani individuali di risparmio, i Pir 2.0 voluti dal governo gialloverde dopo averli per mesi modificati, emendati, cancellati e poi reintrodotti con un decreto congiunto Mise-Mef pubblicato sulla Gazzetta ufficiale a fine aprile. In sostanza, per la Banca centrale è aumentato il rischio che questi fondi registrino delle perdite a fronte di fluttuazioni di mercato, perdite che potrebbero riflettersi sulle tasche dei risparmiatori ma anche sulla reputazione degli intermediari finanziari che li propongono come forma di investimento. 

  

Ma né i dubbi della Banca d'Italia né le ripetute critiche espresse dai rappresentanti dell'industria del risparmio, compreso il presidente di Assogestioni, Tommaso Corcos, sono riusciti a fare cambiare idea al governo che nel decreto ha solo attenuato la prima versione dei nuovi Pir che aveva provocato una sollevazione generale. Il punto più critico continua a essere la “riserva” del 3,5 per cento che i gestori di questi fondi sono obbligati a riservare al settore del venture capital, introducendo così un elemento di rischiosità inedito per un piccolo risparmiatore. Ma fatta la legge, bisognerà vedere quanti e quali intermediari finanziari decideranno di mettere in vetrina i Pir 2.0.

  

Dalle indiscrezioni che circolano, sembra che ci sia una certa freddezza tra banche e operatori finanziari che stanno già pagando lo scotto del crollo della raccolta che hanno avuto i vecchi Pir – passata dal boom di 11 miliardi nel 2017 a 4 miliardi nel 2018 a una stima di 1 miliardo prevista per quest'anno – proprio a causa dell'intervento del governo che ne ha praticamente stravolto la struttura. Dire che si prospetta un fallimento è prematuro, ma di certo non giova l'incertezza che si è creata intorno a questo strumento di risparmio, tenuto a battesimo dal governo Renzi-Gentiloni per canalizzare il risparmio degli italiani verso le piccole e medie imprese che sono troppo dipendenti dal credito bancario.

  

Inoltre, a fare concorrenza ai Pir ci sono ora gli Eltif, veicoli di risparmio che sono stati inseriti sempre dal governo nel decreto crescita per recepire una direttiva europea. Il problema, però, è che sono molto simili ai Pir per il fatto che hanno l'obiettivo di veicolare risorse verso il sistema delle piccole imprese, ma presentano un vantaggio fiscale ben più ampio anche se a fronte di una soglia di investimento di 100 mila euro. Insomma, tra i dubbi avanzati dalla Banca d'Italia sul profilo di rischio, che non potranno essere ignorati dai gestori, il pasticcio burocratico-legislativo fatto dal governo con le diverse versioni e la concorrenza di strumenti simili, c'è da domandarsi se i Piani individuali di risparmio non siano arrivati al capolinea. Di certo, la previsione di una raccolta pari a 68 miliardi in cinque anni fatta al loro debutto nel 2017 sembra oggi davvero una chimera.

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