L'aumento dell'Iva visto dal Mef
Secondo le simulazioni di via XX Settembre l’operazione di ricerca dei fondi vede ancora un buco di 20 miliardi. Si valuta un incremento selettivo delle aliquote
Roma. Dicono a Palazzo Chigi che al Mef fanno i conti “senza considerare il 27 maggio”. E però, nell’attesa che questo futuribile sconvolgimento delle regole di Bruxelles avvenga davvero, e sempre ammesso che poi avverrà, è inevitabile che i tecnici del Tesoro facciano i conti con la realtà. E siccome la realtà è quella che è, l’aumento dell’Iva – selettivo, per ora – viene ormai considerato inevitabile.
Perché oltre ai 23 miliardi di clausole di salvaguardia, sul bilancio del 2019 gravano almeno altri 8 miliardi di mancata crescita. E allora ecco che è partita l’operazione di ricerca dei fondi. Circa 7 sono i miliardi attesi dal recupero dell’evasione: la pace fiscale, con 1 milione e 300 mila domande a fine aprile, pare stia funzionando meglio del previsto, e per questo la sua scadenza verrà prorogata fino al 31 luglio con un emendamento nel decreto “crescita”. Poi dovrebbero esserci 3 miliardi inutilizzati dal fondo per reddito di cittadinanza e quota cento. Ma malgrado queste risorse insperate, resterebbero comunque da trovare almeno 20 miliardi, il tutto a politiche invariate e con l’incognita delle mancate entrate dovute al bluff sulle privatizzazioni.
Per questo nelle simulazioni a cui lavorano in queste ore Via XX Settembre, l’aumento delle clausole Iva rispunta sempre come una misura inevitabile. Accantonata – al momento – l’ipotesi di un innalzamento generalizzato, si sta valutando un incremento selettivo: 1,5 punti sia sui beni di lusso (categoria dai contorni mutevoli, come dimostrano le baruffe parlamentari sugli assorbenti), sia su alcuni beni oggetto di aliquote minime (il 4 per cento), esclusi quelli di prima necessità. Sperando che basti.