La manifattura se la cavicchia ma lamenta l'assenza di investimenti
Per reggere la concorrenza in un contesto di regole che evolvono rapidamente servono tecnologie e risorse. Un report di Banca Intesa e Prometeia
Milano. “Nel quadro programmatico si prevede una crescita degli investimenti nell’ordine del 5 per cento. Ma con cifre di questo genere, vista la necessità di stare al passo con la tecnologia, non si va da nessuna parte”. Fabio Storchi presidente della Vimi Fasteners, azienda di Reggio Emilia alla avanguardia nelle “soluzioni di fissaggio altamente specializzate” nonché presidente di Unindustria di Reggio Emilia, chiude con questa nota inquietante il dibattito sull’analisi dei settori industriali curato da Banca Intesa e da Prometeia. Un’occasione per fare il punto sulla timida riconversione dell’industria italiana dopo la frenata di fine 2018. Ma anche per fare un primo esame dei problemi che una gelata dettata dal braccio di ferro sui dazi può provocare alla nostra manifattura, proiettata sui mercati mondiali dove oggi colloca il 48 per cento di quanto si produce in Italia, piazzando le nostre merci sempre più in là.
Nessuno, né i tedeschi né i francesi, ha spinto tanto in là il raggio delle proprie esportazioni (3.413 chilometri contro i 3.116 della Germania) per trovare sbocchi alla propria manifattura che nel 2023 potrebbe regalare al made in Italy un risultato da primato: oltre 100 miliardi di saldo commerciale positivo, frutto di un nuovo balzo in avanti dell’export, oltre il 50 per cento del totale, numero che non stupisce visto che più di un comparto piazza già oggi oltre frontiera i quattro quinti di ciò che produce. Una performance che sarebbe ancora migliore se si accorciassero i tempi di pagamento, vecchia piaga dell’economia italiana (86 giorni per ricevere il dovuto contro 51 della media europea e i 27 della Germania). Se si allineassero i tempi di incasso, l’indice di redditività delle nostre imprese salirebbero di un percentuale. Ma questi numeri, oltre a segnalare i progressi nel nostro manufacturing, ne sottolineano i punti deboli, a partire dai rischi posti dalla guerra commerciale, ma anche al divario accumulato nel digitale, difficile da integrare nelle piccole e medie imprese, che va pericolosamente aumentando dopo i tagli al programma manifattura 4.0. “Il quadro è nel complesso positivo – commenta Gregorio De Felice, chief economist di Banca intesa Sanpaolo – ma non mancano le incertezze di natura politica legate alla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina”. Per non parlare dei colpi bassi che da sempre segnano la concorrenza sui mercati. “La Cina – segnala Claudio Marenzi di Hermo Italia e di Confindustria Moda – è ormai anche un mercato di sbocco interessante per i manufatti. Ma mentre per loro è facile esportare in Italia, gli ostacoli all’ingresso in Cina sono tali da scoraggiare l’export delle nostre piccole imprese”. Per non parlare del muro opposto dai partner europei del nord Europa al concetto di “made in”, un elemento forte del brand Italia.
Ma le previsioni, specie a medio termine, restano positive. Già nei primi mesi del 2019 il fatturato dell’industria manifatturiera italiana segna un recupero rispetto alla chiusura del 2018, nonostante la sofferenza che permane nelle filiere legate al ciclo di investimenti in macchinari e mezzi di trasporto. Ma per evitare brutte sorprese “dobbiamo stimolare il più possibile gli investimenti – continua De Felice – sia pubblici, a partire dai decreti attuativi dello sblocca cantieri, sia delle imprese che hanno accumulato un forte divario rispetto ad altri partner europei”. E’ sugli investimenti che si gioca la capacità di reggere alla concorrenza anche di fronte a regole in rapida evoluzione, come capita nell’auto, una delle filiere strategiche in cui gioca il nostro futuro. “Abbiamo la possibilità di crescere molto di più sugli investimenti, abbiamo la possibilità di farlo, pensiamo a tecnologie disruptive e pensiamo alle possibilità di cambiamento nel mondo delle automobili. L’elettrificazione delle auto rappresenta un’opportunità gigantesca”.