Perché i piani di Di Maio sul Mise preoccupano il Mise
Il ministro vuole un segretario generale più forte e un taglio delle direzioni con impatti su energia, commercio e telecomunicazioni. I sindacati chiedono spiegazioni
Martedì prossimo il segretario generale del Mise, Salvatore Barca, spiegherà ai rappresentanti delle organizzazioni sindacali della pubblica amministrazione cosa succederà agli uffici del ministero dello Sviluppo economico nei prossimi mesi. Le direzioni generali di via Veneto aspettano da tre mesi di sapere come cambieranno le proprie funzioni, da quando a febbraio Luigi Di Maio ha annunciato di volere riorganizzare il ministero, prevedendo un risparmio di risorse pubbliche con l'accorpamento di alcune direzioni. Tuttavia il ministro e il suo braccio destro, Barca, hanno dimenticato di coinvolgere funzionari e dirigenti, convocati solo adesso per prendere visione del decreto (dpcm) che Di Maio vuole portare in uno dei prossimi consigli dei ministri e approvare entro giugno. C'è stato "il totale disinteresse dei vertici del ministero verso i lavoratori chiamati a dare gambe e forma alla nuova struttura – hanno scritto Fp Cgil, Cisl Fp e Uilpa in una lettera a Di Maio – e verso le preoccupazioni più volte espresse dai dipendenti del Mise, in merito al ruolo che si vuole dare al ministero e alle politiche per lo sviluppo del paese".
L'impatto del nuovo regolamento non sarà lieve sulle funzioni esercitate soprattutto nei settori dell'energia, del commercio e delle comunicazioni, che tra fusioni e spacchettamenti cambieranno volto. Dalla bozza del provvedimento, risulta che le direzioni generali passeranno da 15 a 12 e così, al cessare del rapporto di lavoro di tre dirigenti di prima fascia oggi in carica, non ci saranno nuove nomine. La dotazione organica del ministero, invece, resterà nel complesso la stessa, nonostante l'attuale assetto sia già in sofferenza per la mancanza di circa 500 unità. Un risparmio sui costi teorici, comunque, ci sarà. Ma a che prezzo? Il timore è che a risentirne sia la macchina amministrativa nel suo complesso, con possibili disagi per tutti i soggetti verso cui il ministero eroga servizi, a partire dalle imprese, principali destinatari delle attività del Mise. Con l'approvazione del dpcm, infatti, tutti gli incarichi attuali perderebbero validità e andrebbero rinominate tutte le figure di vertice. Si può aprire così una finestra di tempo che permetterebbe al ministro di mischiare le carte e fare un rimpasto dei direttori generali, sfruttando anche la possibilità di offrire nomine che hanno la stessa valenza di quelle dei direttori generali, senza però l'onere di guidare attività e funzionari di una direzione generale. Si tratta dei cosiddetti “incarichi ispettivi, di consulenza, di studio e ricerca”, che in questo dpcm trovano più spazio che nel precedente (da due si passa a tre, in controtendenza rispetto al taglio delle direzioni generali).
Resta poi l'aspetto controverso legato alle funzioni di Salvatore Barca. Rispetto al precedente regolamento, il disegno di Di Maio prevede l'attribuzione di nuove competenze al segretario generale, che non si occuperà più solo del coordinamento e del raccordo tra gli uffici e il ministro, ma anche, per esempio, di verificare i risultati delle società partecipate dal ministero “attraverso un rapporto di piena conoscenza delle attività svolte”. Ancora, di “vigilare e controllare” Enea e il Gse, attività prima delegate alle direzioni generali che si occupano di energia, ma anche Invitalia, l'agenzia per gli investimenti e lo sviluppo delle imprese, dell'Ente nazionale per il Microcredito e della Fondazione Ugo Bordoni. Con la possibilità, fino a ora inesistente, di nominare un vice a cui delegare in via stabile e ufficiale alcune materie, un'eventualità che prima era valida solo nel caso di assenza o di impedimenti del segretario generale, che invece da domani potrebbe avere un suo braccio destro.
Al fondo di tutto questo resta una domanda che, forse, potrà avere una qualche risposta il prossimo martedì. Cosa muove l'iniziativa del ministro, che non risponde a nessuna esigenza di spending review scritta in legge di Stabilità e, soprattutto, intrapresa evitando ogni confronto? Sarà forse per inseguire il cambiamento, ma la trasparenza che fine ha fatto?