Scappi chi può
Ultime notizie investitor-repellenti. Regole cangianti per i concessionari e grande fiera dei regali per Alitalia
Roma. Ogni mattina un investitore si sveglia, e deve correre per impiegare i propri capitali nel modo più efficiente. Ogni mattina un politico italiano si sveglia, e corre per impedire a quell’investitore di turbare lo status quo.
Sfortunatamente, la fantasia dei politici sembra battere l’intuito degli imprenditori sia nello scatto, sia nella resistenza. Lo dimostrano gli ultimi due emendamenti presentati dai relatori al decreto sblocca-cantieri, entrambi finalizzati ad ampliare la discrezionalità del pubblico e comprimere la libertà del privato.
Se approvato, il primo serve a facilitare la revoca delle concessioni autostradali, aggirando la corte dei conti e “scudando” i dirigenti ministeriali dalle conseguenze di un intervento chiaramente estraneo ai confini del diritto.
Il secondo, invece, mira invece alla costituzione, presso il ministero dei Trasporti, della società Italia Infrastrutture Spa, per gestire direttamente le opere pubbliche al posto delle imprese aggiudicatarie degli appalti. Minare la certezza del diritto e la esigibilità dei contratti non è esattamente il modo migliore per rendere l’Italia una terra appetibile per l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali. Ma i due emendamenti in questione sono solo la punta di un iceberg che l’azione congiunta degli uomini di Luigi Di Maio e Matteo Salvini ha fatto dilatare a dismisura.
La repulsione per l’iniziativa privata sta nelle norme e nelle prassi, e non è purtroppo nata con la maggioranza gialloverde. Risalgono a prima, infatti, provvedimenti pensati per allargare, se non la presenza diretta dello stato, almeno il suo diritto di veto e di intervento. E’ il caso, per citare provvedimenti nati nella scorsa legislatura, della norma cosiddetta anti scorrerie – che, obbligando a dichiarare in anticipo le proprie intenzioni, di fatto impedisce ogni scalata ostile, rendendo ancora meno contendibili le aziende italiane e più asfittica la nostra borsa. Simmetricamente, la “golden power” assegna all’esecutivo il potere di bloccare, o comunque condizionare, le operazioni di fusione e acquisizione relative agli asset giudicati “strategici”. Il governo dispone di una sorta di ius primae noctis sulle imprese, e pretende che gli si creda quando dice che lo eserciterà solo nell’interesse degli sposi.
Se non bastassero gli ostacoli legislativi, un investitore deve anche fare la gimkana tra le scelte più o meno arbitrarie dei pubblici poteri. Un mercato ben funzionante prevede libertà di ingresso ma anche libertà di uscita: la concorrenza è un processo darwiniano nel quale i fattori della produzione sono continuamente riallocati ai produttori più efficienti. Se questa dinamica viene impedita o rallentata, l’economia si carica di extracosti, e sono soprattutto le imprese migliori a farne le spese.
La vicenda Alitalia è clamorosa: quale altro operatore avrebbe potuto ottenere, nelle stesse condizioni, i 900 milioni di euro del prestito ponte, adesso in via di trasferimento sulle spalle degli incolpevoli consumatori elettrici? Qual è la ratio per la quale un’impresa, magari manifatturiera, deve perdere competitività all’estero a causa, letteralmente, del decollo dei costi energetici? Operazioni analoghe, anche se forse non altrettanto sfacciate, sono più comuni di quanto non sembri: il protocollo fatto per tutelare i call center nazionali quasi obbligando le imprese ad acquistare i loro servizi, i disperati tentativi di tenere in piedi realtà come Mercatone Uno anche ricorrendo a partner di dubbia solidità, i mille tentacoli della Cassa depositi e di Invitalia, e perfino le richieste di intervento pubblico a ogni piè sospinto (dall’acqua pubblica al parmigiano di stato). Frenando la “distruzione” schumpeteriana degli equilibri esistenti, impediscono la “creazione” di nuove opportunità.
Imprese che meritano l’estinzione
Il combinato disposto tra questi due fenomeni – gli ostacoli agli investimenti e la difesa delle imprese improduttive – spiega la presenza sul territorio di quelle che gli economisti chiamano imprese zombi. Questa è una delle ragioni della stagnazione della produttività nel nostro paese: capitale e lavoro sono immobilizzati in utilizzi poco produttivi, e ciò equivale a una tassa sulla restante parte dell’economia. La cattiva allocazione dei fattori è alla base della questione dell’output gap, che nelle prossime settimane scalderà le relazioni tra il governo e la Commissione europea. Il prodotto potenziale non si discosta da quello effettivo, nonostante il basso tasso di utilizzo degli impianti e l’elevata disoccupazione, perché molte imprese producono beni che il mercato non domanda, o hanno costi di produzione fuori mercato. Nel saggio sull’origine della specie, Charles Darwin scrive: “Una legge generale conduce al progresso di ogni essere organico, vale a dire a moltiplicare, variare, rendere vittoriosi i più forti e far scomparire i più deboli”. Nell’ambiente economico come in quello fisico, è assai raro che le grandi leggi dell’esistenza si lascino calpestare impunemente.