Più forti del piagnisteo
La forza strutturale di Fiat la si deve a Marchionne e a chi gli ha dato credito
Se Fiat Chrysler riuscirà a realizzare una fusione su tre continenti con la francese Renault e la giapponese Nissan sarà perché è in grado di portare in dote la forza strutturale che le ha dato Sergio Marchionne. Così ha detto al Foglio Paolo Rebaudengo, che insieme a Marchionne, ha cambiato le relazioni industriali e ha fatto girare la testa a un paese in cui sulla retorica disfattista si sono costruite carriere politiche e mediatiche. Nemmeno Matteo Salvini che ora suggerisce un ruolo dello stato nell’alleanza – se richiesto – è stato immune: “Vergogna – diceva – Marchionne e la Fiat restituiscano tutti i soldi ricevuti dallo stato nel caso in cui licenzieranno anche solo un lavoratore italiano”, quando venne annunciata la produzione futura del nuovo modello della Panda in Polonia. Per ora la Panda è il modello più venduto in Europa, e quello che tiene meglio a inizio 2019, ed è prodotta a Pomigliano, passato dall’essere uno stabilimento vergogna a fabbrica modello grazie a Marchionne. E’ dall’accordo di Pomigliano in poi, nel 2010, che è stata ricostruita l’affidabilità di Fiat. Da un contratto aziendale, come si sa, fuori dal recinto di Confindustria, è derivata l’implementazione del sistema di produzione World class manufacturing che ha portato lo stabilimento campano da vergognoso a fabbrica modello con zero assenteismo, maggiore efficienza, bonus aziendale, impiego di tecnologie per nuove professionalità. L’idea di legare investimenti programmati a garanzie di efficienza nell’organizzazione del lavoro significava calpestare i diritti dei lavoratori come diceva Maurizio Landini dalle barricate della Fiom? E significava abbandonare l’Italia dopo l’unione con Chrysler? L’alternativa sarebbe stata lo spezzatino per un banchetto di investitori esteri o un boccone unico per lo stato, un processo di digestione orrendo immaginare. Significava perdere Fiat: ad ascoltare sindacalisti che facevano i padroni o politici che s’atteggiavano a manager non avrebbe avuto speranza. E tanto meno l’opportunità di guidare la danza per formare un complesso colosso transcontinentale. E non è certo per merito dello stato se questo avverrà, anzi meglio se se ne terrà lontano.