Perché il fondo F2i entra nei terminal portuali
Mentre crescono (in silenzio) gli avamposti cinesi, il principale fondo infrastrutturale nazionale acquista da privati i terminal portuali di Carrara (Toscana), Marghera e Chioggia (Veneto)
Roma. La necessità di creare un campione nazionale nel settore dei porti ha spinto F2i, principale fondo infrastrutturale nazionale, a muovere la prima mossa nello scacchiere dei terminal merci italiano mentre cresce il timore per la conquista di avamposti portuali da parte di fondi sovrani cinesi. F2i è entrata per la prima volta nel settore, comprando da privati i terminal portuali di Carrara (Toscana), Marghera e Chioggia (Veneto) con l’ambizione di creare una rete nazionale di terminal per il transito di rinfuse solide, ovvero materie prime e componenti tecnologiche utili a realizzare impianti industriali.
“La nascita di un campione italiano è estremamente importante per alimentare il ruolo del nostro paese nell’economia mondiale, anche alla luce dell’impatto che avrà sugli scambi internazionali via mare la Belt and Road Initiative (la Via della seta) in cui l’Alto Adriatico rappresenta uno snodo cruciale”, ha detto Renato Ravanelli, amministratore delegato di F2i che, oltre a Cassa depositi e prestiti, ha tra gli altri azionisti fondazioni bancarie, casse di previdenza e banche come Intesa Sanpaolo e Unicredit.
I porti di Venezia, Trieste e quello di Genova sono considerati obiettivi degli investimenti cinesi come terminali marittimi della nuova Via della seta, il programma decennale di investimenti infrastrutturali promosso da Pechino. Il governo Lega-M5s è stato l’unico, tra i paesi avanzati del G7, a promuovere la Belt and Road Initiative con la firma di un memorandum di intesa nel marzo scorso in occasione della prima visita di stato del presidente cinese Xi Jinping.
L’invasione dei porti italiani da parte dei cinesi non è una priorità imminente per Pechino che ha il serio problema di avvicinarsi ai paesi dell’est europeo per dare uno sbocco commerciale agli stabilimenti industriali e logistici nell’ovest della Cina che produce il 20 per cento del pil nazionale, una minima parte, e dove risiede la popolazione più povera. Tuttavia se l’avanzata cinese non è un’urgenza, negli anni al progressivo declino dell’Italia si è sincronicamente contrapposta l’ascesa della Cina come investitore a supplenza delle carenze nazionali: il rischio è che questa disparità di potenza finanziaria faccia aumentare, più che in passato, l’ingresso di capitali controllati direttamente o in maniera indiretta dal Partito comunista in settori di interesse strategico.
Le banchine e i porti sono per definizione protetti perché di proprietà del demanio marittimo e non sono vendibili. I terminal di ricezione e transito delle merci sono invece proprietà di privati e, se messi a gara, possono essere comprati dal migliore offerente che sia cinese oppure no. I terminal dove transitano le rinfuse sono infrastrutture rilevanti sia per la quantità sia per la qualità di merci in transito. Su 500 milioni di tonnellate di merci in transito nei porti italiani, circa 200 milioni sono merci alla rinfusa mentre il traffico cointainer non arriva a 60 milioni di tonnellate. Le merci trasportate sono ad alto valore aggiunto perché sono quintessenziali per un’economia di trasformazione di materie prime o semilavorati (marmo, cellulosa, carta, acciaio) e per la costruzione di impianti industriali (sulle navi transitano anche componenti per la costruzione di stabilimenti). A Carrara vengono movimentati moduli di impianti per le americane Baker Huges, servizi all’industria estrattiva, e per General Electric/Nuovo Pignone, centro di produzione di turbine a gas. “Si tratta di un’infrastruttura vitale per l’approvvigionamento delle filiere industriali italiane e uno snodo strategico per l’attività economica”, ha detto Ravanelli.
F2i ha investito circa 50 milioni di euro, in parte a debito, per i terminal rinfuse in Toscana e Veneto dall’armatore e operatore portuale Enrico Bogazzi, appartenente a una famiglia giunta alla quarta generazione di attività nel settore portuale, e la cooperativa di servizi portuali Ciclat. Nei terminal toscani e veneti transitano ogni anno 5 milioni di tonnellate di rinfuse, una minima parte della quota nazionale. Per questo il fondo pubblico-privato ha intenzione di aumentare la rete che, però, è frammentata e di proprietà di famiglie e di cooperative con operatori di piccole dimensioni.
Un nuovo avamposto in Laguna
L’opposizione di investimenti nazionali agli investimenti cinesi può essere una valida difesa rispetto alle ambizioni di conquista di Pechino? E’ difficile dirlo, soprattutto considerando che gli operatori asiatici si muovono costantemente e in accordo con operatori nazionali. Nei giorni scorsi la China Communication Construction Company Group, colosso di stato delle costruzioni, insieme al consorzio di imprese italo-cinese 4C3, costituito dalle società 3TI Progetti ed e-Ambiente, progetterà la costruzione di una piattaforma d’altura al largo di Venezia. Il progetto è costruire un terminal container (di circa 200 mila metri quadri) e una banchina di servizi (da 127 mila metri quadri) con prefabbricati da affondare nella laguna di Venezia, che si candida a diventare il centro di collegamento merci tra Italia e Cina nel Mediterraneo. Serviranno sei mesi per il progetto definitivo e le indagini ambientali. La conquista cinese e la protezione nazionale di avamposti saranno un lungo gioco, una specialità degli strateghi di Pechino.