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Contenere moltitudini, come il poeta, per far fronte alle ossessioni dominanti

Giuliano Ferrara

Che devo fare se, a forza di leggere capitalisti e liberali keynesiani in fuga verso il debito populista, senza capirli, mi è venuto un che di simpatia per la flat tax, per la spesa pubblica, per il governo in deficit?

I’m large, I contain multitudes. Nato duecento anni fa, Walt Whitman l’aveva azzeccata. Sono grasso, contengo moltitudini: potrei parafrasarlo facile facile. Ma non è così semplice, se il destino ti ha consegnato all’orrore del giornalismo (Bazlen, ripubblicato da Adelphi, su una propria lettera a una rivista di Olivetti: “Probabilmente non se ne farà nulla, e Dio mi avrà aiutato a morire senza essere passato per il giornalismo”). Che devo fare se, a forza di leggere capitalisti e liberali keynesiani in fuga verso il debito populista, ovviamente senza capirli, mi è venuto un che di simpatia per la flat tax, per la spesa pubblica, per il governo in deficit? Io che il Truce lo manderei nella Corea del Nord, a sperimentare di persona i metodi svizzeri di Kim con i suoi collaboratori. E che cosa posso fare se la decisione della Casa Bianca di imbarcare fior di scienziati climatologi in una crociata contro le previsioni secolari e plurisecolari, “non andate oltre il 2040 per cortesia”, mi piace immensamente? Io che su Trump la penso come Catenacci e De Miro: in galeraaaaa.

 

Contenere moltitudini è un compito ingrato. Ho visto che Calenda, il quale non è grasso ma ha la sua brava pancetta, si è scrollato di dosso l’accusa potenziale di collusione con gli epistolografi della Commissione di Bruxelles, i vigili che multano le infrazioni al bilancio, dicendo in tv che lo preoccupa di più la scarsa propensione a prestarci i soldi, magari con un tasso di interesse accettabile, da parte dei mercati finanziari. E questo certo è un problema, come no. Difficile che si risolva con i mini bot. Dunque sono consapevole. L’equilibrio di bilancio è meglio dello squilibrio. La spesa pubblica produttiva e compatibile è meglio di quella improduttiva e scompaginante. Litigare con l’Unione europea, facendone parte, non è sano. Cessare di farne parte è insano, insensato. Bisogna come si dice “convergere”, la moneta è unica. Eppure quel vecchio pallino mi rode: più salari, meno tasse, e un livello di spesa pubblica anticiclica che metta le ali a lavoro e crescita e consumi. Ne discutevamo qui anni fa, quando il Truce impostava da statalista secessionista la sua brillante carriera futura. Ora, dopo che ci eravamo fatti riconvertire al rigore giavazziano e bocconiano, sebbene con le cautele dell’offerta di liquidità della Bce, sempre auspicata, il tema torna in primo piano, nelle condizioni peggiori, per le bocche peggiori, via il governo peggiore possibile. E mentre i capitalisti più o meno turbo lisciano il pelo alla bestia, ché l’austerità è stagione sorpassata, dicono, noi qui giustamente a lamentarci di essere finiti non come la Grecia, quello ce lo evitò Monti, ma peggio della Grecia. Qualcosa non va. Bisogna riflettere, in mezzo a tanta moltitudine.

 

Quanto a Trump, che certamente finanziava Greenpeace per incrementare il suo Ego newyorkese smisurato, quando noi qui eravamo già modestamente negazionisti, che cosa volete mai obiettare a uno che mette scienziati autentici, di Princeton, in comitati di ridimensionamento del profetismo scientifico-attuariale della lobby dell’Apocalisse? Non dico che si debba scadere in battute tardo reaganiane, “che cosa hanno fatto i posteri per noi?”, è però probabile che rifiutarsi di investire somme ingenti per ricerche su quello che sarà il mondo alla fine del secolo, e soprattutto se ci sarà ancora, sia sensato. Anche l’Arancione contiene moltitudini, solo che parlano russo, russo ministeriale, russo oligarchico postsovietico. Tuttavia è imbarazzante pensare che la terra è là biblicamente per essere sfruttata, certo ripulita delle zozzerie che le abbiamo imposto, liberata dall’inquinamento e dall’attacco alla diversità biologica, ma non sciupata dalle ossessioni ideologiche. Ma occorre farlo. All’inizio avevo paura di volare, poi ho superato tutto con l’abitudine, ora non vorrei che mi tornasse per via dell’attivismo di certi comitati. Di fronte all’ossessione dominante, pur essendo parte felice dell’accordo di Parigi per una cittadinanza sostenibile, trottinette escluse, fumo escluso, differenziata come raccolta esclusa, attentati alle macellerie esclusi, ho la riserva poetica del Song of Myself con la sua grassezza moltitudinaria. Mi mancheranno le foglie d’erba legale, vedo, ma non è così grave.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.