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Il limbo produttivo europeo

Mariarosaria Marchesano

La manifattura nell'Eurozona è debole per i rischi geopolitici. Segnali di vita, invece, dall’Italia

Milano. L’unica notizia confortante nel disastrato quadro politico ed economico dell’Italia è che migliora un po’ l’attività manifatturiera, nonostante tutto e per il secondo mese consecutivo, rispetto alla forte contrazione registrata dal settore nell’ultima parte del 2018 e nei primi tre mesi del 2019. L’indice pmi (purchasing manager index) realizzato da Ihs Markit e che riflette la capacità di un paese di acquisire beni e servizi tenendo conto di nuovo ordini, occupazione, produzione e scorte, è passato a maggio a 49,7 punti da 49,1 punti di aprile arrivando a registrare due punti di distacco dalla media dell’Eurozona (47,7), che nel complesso conferma una situazione di contrazione. In quest’ultima rilevazione dell’indice manifatturiero, l’Italia tende ad avvicinarsi più ai livelli della Francia – che ha superato la soglia dei 50 punti, numero spartiacque tra espansione e recessione – che a quelli della Germania, che resta stagnante a 44,3 punti. Il dato dell’Italia colpisce anche in relazione a Spagna e Regno Unito. Madrid sembra abbia improvvisamente smarrito il suo dinamismo dopo tanta crescita, soprattutto per la produzione di beni, che nel mese di maggio si è arrestata per il calo dei nuovi ordini; Londra registra un arretramento di ben 3,6 punti rispetto ad aprile.

 

Insomma, nel suo quadro d’insieme l’economia manifatturiera della zona euro sembra confinata in un limbo da cui non riesce uscire, “soprattutto a causa dei rischi geopolitici come Brexit, guerra commerciale e crollo della domanda del settore automobilistico”, sottolinea Chris Williamson, chief business economist di Ihs Markit, l’istituto che conduce la rilevazione. In questo contesto, l’Italia non brilla ma almeno ha smesso di peggiorare, confermando la capacità di reazione della sua parte migliore, cioè quella delle imprese produttive, che cominciano a mostrare maggior fiducia in una ripresa economica come hanno dimostrato anche gli ultimi dati dell’Istat. “Si legge qualche segnale di recupero, ma la situazione resta di sostanziale debolezza e consiglierei di usare una certa cautela nella lettura di questo dato poiché potrebbe anche trattarsi di un rimbalzo temporaneo”, dice al Foglio Annamaria Grimaldi, economista del centro studi e ricerche di Intesa Sanpaolo, secondo la quale è troppo presto per dire se quella in atto è un’inversione di tendenza. “Anche perché l’economia italiana non può crescere se il resto d’Europa va male, e questo per la stretta correlazione che c’è tra le economie dell’area. Il dato della Spagna lo dimostra: con tutta la zona euro in contrazione, la spinta alla crescita del paese sta finendo con il risentirne ”.

 

Fuori dall’area euro, l’attività manifatturiera è risultata stagnante anche in Cina e in Giappone. E negli Stati Uniti, dove l’economia è in espansione, il dato manifatturiero del mese di maggio è risultato in deciso calo: livelli che non toccava da maggio 2009. “Una domanda debole e le tensioni commerciali in corso hanno portato le aziende a esprimere il grado più basso di fiducia sul futuro della crescita da quando il dato dell’outlook è elaborato”, cioè il 2002, si legge nel rapporto di Ihs Markit. Annamaria Grimaldi ricorda che il contesto globale ha subìto un deciso rallentamento nell’ultimo anno e l’economia dell’Eurozona ha accusato il colpo: basti pensare che l’indice pmi manifatturiero dell’area nel maggio 2018 era a 55,5 punti e oggi è sceso quasi di otto punti. Questo dato è destinato a pesare sul pil dell’Eurozona e sulle previsioni e valutazioni che la Bce farà nella prossima riunione del 6 giugno, che sarà presieduta da Mario Draghi in una fase cruciale in cui si stanno decidendo i giochi per la nomina del suo successore. “L’evoluzione dei negoziati tra Cina e Stati Uniti nelle ultime settimane lascia un’ombra sulle prospettive della domanda mondiale. Il rischio di un’uscita disordinata del Regno Unito dalla Ue rimane ancora elevato. L’esito delle elezioni europee ha scongiurato un’avanzata dei movimenti sovranismi, ma la direzione delle politiche comunitarie è ancora tutta da definire. Di riflesso, il Consiglio manterrà una retorica assai accomodante e confermerà la disponibilità a fare di più usando tutti gli strumenti disponibili in caso di necessità”, conclude l’economista.