Scalata all'Eurotower
Salgono le quotazioni di Weidmann alla Bce per il dopo Draghi. Ragioni per ritenere che il “falco” tedesco non sarà così rigido come in passato. E l'Italia rischia di non avere un posto a Francoforte
Per indicare il negoziato sulle nomine che si apre in Europa dopo una tornata elettorale, gli italiani, moralisti a corrente alternata, parlano di mercato delle vacche, gli anglosassoni usano il più elegante concetto di horse trading. Non è una differenza puramente lessicale, riflette due approcci, uno censorio e l’altro pragmatico, verso un negoziato la cui inevitabilità discende dal numero (28 con Londra) dei paesi partecipanti. Ma tant’è, dopo il voto del 26 maggio l’horse trading è pienamente in corso. E potrebbe riservare sorprese.
La principale riguarda il successore di Mario Draghi alla presidenza della Banca centrale europea che forse è anche l’organismo più importante visti i poteri di governo della moneta e dell’economia che Francoforte detiene. Da quando Emmanuel Macron ha liquidato il metodo degli spitzenkandidaten per la designazione nel presidente della Commissione (vale a dire la nomina automatica del candidato del partito che ha ottenuto più voti alle elezioni), le quotazioni dello spitzenkandidat indicato dal Ppe per quel posto, il tedesco Manfred Weber, provenienza Cdu-Csu, sono crollate, mentre quelle del governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, per la Bce si sono impennate.
Infografica di Enrico Cicchetti (clicca sull'immagine per ingrandirla)
Per una tradizione quasi sempre rispettata infatti i due maggiori paesi Francia e Germania devono avere almeno una delle quattro poltrone in lizza (oltre alla Bce e alla Commissione, ci sono la guida del Parlamento e quella del Consiglio). Dunque, se il tedesco Weber non va alla testa della Commissione, un altro tedesco può aspirare al vertice della Bce dopo l’uscita di Draghi il 31 ottobre. Ed è noto che Weidmann a quel posto aspira da tempo. Tanto più che la Germania, diversamente da Francia e Italia, non ha mai espresso il presidente della Bce. Non è chiaro quanto Weidmann, ex consigliere economico di Angela Merkel, sia sostenuto attivamente dal suo governo. A volte si ha l’impressione molto, altre volte meno. Ma questo fa parte del gioco nella partita dell’horse trading. D’altra parte l’esperienza di Draghi insegna che si può arrivare all’Eurotower anche con la sola forza dei propri mezzi. Certo, la dura sconfitta della Spd nelle elezioni del 26 maggio ha portato alle dimissioni della segretaria del partito, Andrea Nahles, e gettato una pesante ombra sulla tenuta della Grande Coalizione tra cristianodemocratici e socialdemocratici. La conseguenza è un indebolimento dell’esecutivo di Berlino.
Al contrario l’attivismo di Macron, capo del partito che è diventato l’ago della bilancia per la formazione di una maggioranza non sovranista nel Parlamento di Strasburgo sembra indicare che in questa fase è il presidente francese a dare le carte nell’horse trading. Su questo sfondo corrono le voci di una possibile presidenza Christine Lagarde o Michel Barnier per Palazzo Berlaymont. Qualcuno arriva a ipotizzare una presidenza Merkel della Commissione su richiesta di Macron, quasi una targatura francese. A Parigi peraltro si dice anche che il presidente non ha alcuna fretta di chiudere il pacchetto nomine. A sostenere la candidatura Weidmann per la Bce in questa fase sono invece gli ambienti della finanza internazionale, che lo considerano una garanzia di stabilità, e i media tedeschi. Secondo un sondaggio condotto in aprile da Bloomberg tra gli economisti il più probabile successore di Draghi è lui.
Il governatore della Bundesbank, severo critico della politica monetaria prudente degli ultimi anni, rigido contestatore degli Omt (Outright monetary transactions) contro i quali ha addirittura testimoniato di fronte alla Corte Costituzionale del suo paese, è considerato un falco. Ma negli ultimi tempi ha notevolmente ammorbidito le sue posizioni. Il quotidiano finanziario Handelsblatt ha scritto che “Weidmann fa di tutto per diventare papabile”. Non chiede più il ritocco verso l’alto dei tassi d’interesse, non si è opposto al lancio di un nuovo T-Ltro per rifinanziare le banche, di recente ha anche criticato l’eccessivo avanzo estero tedesco. I suoi detrattori assai numerosi nel sud Europa dicono che lo fa strumentalmente per correggere l’immagine negativa che si è guadagnato. “Quando cambio idea io lo dico, e voi?”, replica lui citando Keynes.
Indubbiamente la sua principale macchia è l’opposizione al varo degli Omt frutto della creatività di Draghi, ovvero le obbligazioni di uno stato che la Bce può comprare a condizione che il paese sottoscriva un duro piano di rientro dal debito. Mai usate sono servite e calmare gli spread nel momento più acuto della crisi. La prima cosa che Weidmannn dovrebbe fare se nominato, scrive Handelsblatt, è dichiarare apertamente il suo sostegno agli Omt. Con ogni probabilità lo farebbe. Nel giudizio di strumentalità con cui da Lisbona ad Atene viene bollato il cambio di linea di Weidmann c’è tuttavia anche molto di stereotipato. E’ questa per esempio l’impressione di Holger Schmieding, il capo economista di Banca Berenberg, secondo cui Weidmann in realtà “incarna la tradizione pragmatica della Bundesbank, che non ha esitato in passato a comprare titoli di stato, a tollerare l’inflazione a sostenere il cambio di altre valute”. Secondo Schmieding, “se posto di fronte a crisi eccezionali Weidmann adotterebbe misure eccezionali al pari di Draghi”. Dunque Weidmann si porrebbe in linea di continuità con Draghi. Vedremo se il capo della Bundesbank ce la farà ad arrivare all’ultimo piano della Eurotower.
Intanto potrà contare – e qui sta la seconda sorpresa – quasi un paradosso dell’horse trading, sull’appoggio dell’Italia. Si perché il maggiore paese a guida sovranista d’Europa, il paese del no alle regole e ai numerini, si è dichiarato “non ostile alla candidatura Weidmann” per bocca del suo ministro dell’Economia, Giovanni Tria. La dichiarazione, rilasciata al settimanale Spiegel, risale a prima delle elezioni ma nel frattempo la posizione italiana ha preso corpo nei pour parler avviati dopo la cena informale dei capi di stato tenutasi a ridosso del voto. In astratto la scelta ha una sua logica. Come ha scritto anche il Financial Times (“Italy faces loss of Ecb influence when Mario Draghi leaves”) con l’uscita di Draghi l’Italia rischia di non avere un proprio rappresentante nel Comitato esecutivo della Bce per la prima volta dal 1998. La nomina di un tedesco alla presidenza tuttavia libererebbe un posto nel board, perché in base alla regola non scritta per cui non vi possono essere due esponenti dello stesso paese nel board medesimo, Sabine Lautenschlager dovrebbe lasciare così come fece Lorenzo Bini Smaghi quando fu nominato Draghi.
Peccato che il governo cui Tria appartiene sembra fare di tutto perché il piano del ministro non vada in porto. Le recenti dichiarazioni del presidente della Commissione Bilancio della Camera e ascoltato consigliere di Matteo Salvini, Claudio Borghi, che ha chiesto alla Bce di finanziare gli investimenti infrastrutturali degli stati, hanno fatto drizzare i capelli infatti a più d’uno nella Bce e nei ministeri finanziari dei partner. Chi si metterebbe in casa il rappresentante di un paese che punta alla monetizzazione del debito?