Tutti gli errori e le debolezze parallele dei duellanti Fca e Renault
Deficit produttivo-tecnologici e ingenuità diplomatiche hanno fatto svanire una fusione che conveniva soprattutto ai francesi
Roma. Il progetto di fusione Fca-Renault è svanito – “è difficile ritirarsi, ma a volte è la cosa giusta da fare”, ha detto oggi l’ad di Fca Mike Manley. Era un tentativo ambizioso di fare nascere in Europa un grande polo automobilistico globale alternativo a quello tedesco. Il presidente Emmanuel Macron non ha colto questo aspetto essenziale e il collasso è stato determinato dallo stato francese, azionista di Renault. La genesi dell’accordo già non prometteva bene: secondo di Reuters gli advisor hanno mal consigliato le due case cercando senza successo di convincere l’establishment francese a sostenere l’accordo. I consiglieri che hanno seguito la trattativa fanno parte di una squadra di Goldman Sachs. Per Fca, FX de Mallmann, presidente dell’Investment banking, per Renault il suo predecessore in Goldman, Chris Cole, ora ad Ardea Partners, una boutique newyorkese.
A fare da trait d’union con Macron, il banchiere ex Goldman Laurent Clarenbach della Angelin & Co. “Questo accordo è stato preparato da amici che si conoscono da anni”, eppure è non è rimasto in piedi. Ma chi tra i due si troverà in maggiore difficoltà? Entrambe hanno debolezze parallele. Fca per anni ha rinviato la sfida dell’auto elettrica, sperando in un’alleanza strategica più avanti. Questo ritardo sembra però in parte colmato: Fca porterà sul mercato europeo 3 modelli ibridi (500X, Jeep Renegade e Jeep Compass) tutti prodotti nello stabilimento di Melfi e un modello full-electric (500) prodotto a Torino.
Forse la scelta di non investire subito nell’elettrico non è stata del tutto sbagliata. Fca ha risparmiato risorse ma anche potuto osservare i concorrenti e imparare da loro. Ha però una presenza geografica molto squilibrata: con Chrysler è forte negli Stati Uniti con una quota del 13 per cento e una redditività elevata, è leader in Brasile ma è debole in Europa, con solo il 7 per cento del mercato e redditività ridottissima. E’ presente in maniera quasi simbolica in Cina. Il progetto di fusione con Renault è stato il battesimo del fuoco di John Elkann e di un gruppo dirigente ancora orfano di Marchionne. Forse l’operazione è stata gestita in modo un po’ inesperto, ma è in ogni caso il segnale che il vertice Fca ha voglia di muoversi.
L’idea che gli Agnelli vogliano uscire dal settore automobilistico è oggi archiviata. Dopo le nozze incrinate con Renault, Fca conserva credibilità e resta un gruppo in grado di dialogare con altri attori del settore, come la coreana Hyundai, per proporre nuove alleanze. Passiamo a Renault. Renault ha effettivamente sviluppato prima di Fca una sua tecnologia per l’elettrico ma questo al prezzo di immense risorse investite e senza che ciò si traducesse in ritorni finanziari. Dal punto di vista della presenza geografica, Renault ha la stessa debolezza di Fca in Europa, è presente in Cina ma soprattutto grazie a Nissan, anche negli Stati Uniti è solo Nissan che svolge un ruolo. Ha un fatturato di soli 57 miliardi di euro contro i 110 di Fca e i 200 di Volkswagen. Il gruppo francese è gestito da un management in transizione e ha perso Carlos Ghosn, il timoniere che finora lo aveva gestito con visione.
L’alleanza con Nissan traballa. Il vero tallone d’Achille del gruppo Renault è la sua governance. Avere lo stato come principale azionista costituisce una vera debolezza per il gruppo automobilistico transalpino. Tra l’altro, i sindacati che sono presenti nel cda di Renault, con ben quattro rappresentanti, hanno mostrato anch’essi tutta la loro miopia non chiedendo con forza l’approvazione della fusione, o votando addirittura contro (la Cgt). Oggi il mondo sa che Renault non può rappresentare un partner per un’aggregazione: dopo aver perso l’occasione offerta da Fca, rischia di vedere andare in pezzi anche l’alleanza con Nissan e di restare sola. Fca ha sofferto forse della latitanza della politica italiana ma Renault ha mostrato di essere bloccata dai veti di una politica francese dalla visione nazionalista.