Grande pulizia in casa Deutsche Bank, cade l'alibi dei sovranisti italiani
La problematica banca tedesca si libererà delle attività connesse ai derivati evitando il soccorso pubblico
Milano. La più gigantesca e severa pulizia nei conti della storia bancaria prenderà il via il 24 luglio, quando i soci di Deutsche Bank, già fiore all’occhiello della potenza tedesca, dovranno approvare la severa dieta proposta dal numero uno Christian Sewing per arrestare la frana del titolo, sceso ai minimi da 149 anni.
Per salvare il salvabile, anticipa un’anonima fonte intervistata dal Financial Times, la banca si libererà di attività per 50 miliardi di euro, poco meno, per fare un paragone, dell’intero valore di Borsa di Intesa Sanpaolo e di Unicredit. Con un colpo di scure verrà elimina la stragrande maggioranza dei derivati accumulati nel corso degli anni nell’illusione di poter far quadrare i conti con scommesse sui mercati oggi insostenibili alla luce delle riserve chieste della autorità di controllo. Ancor più clamorosa, almeno sul piano psicologico, l’abbandono del mercato americano assieme all’ambizione di sfidare le banche d’investimento degli Stati Uniti. Un’avventura che si è rivelata peggio che disastrosa, compresi 4,3 miliardi andati in fumo finanziando casinò a Las Vegas. Basti dire che lo scorso anno la filiale americana, al netto dei costi astronomici per le cause giudiziarie, ha perso 600 milioni di dollari, pari a 25 centesimi per ogni dollaro trattato dalla banca.
Per salvare i cocci, il ministro delle Finanze, il socialista Olaf Scholz, ha tentato di dare vita alla fusione tra il colosso e Commerzbank, banca d’oltre Reno, ancora convalescente dopo il salvataggio di Dredsner bank a carico dell’erario. Ma il tentativo è presto abortito, un po’ per l’opposizione dei sindacati delle banche, un po’ perché Berlino, al contrario di quanto fatto e predicato di sovranisti di casa nostra, non ha voluto assumersi la responsabilità di violare le regole del bail-in sacrificando denaro pubblico per il salvataggio dell’istituto.
Di qui la decisione della banca che fu del Kaiser di ritirare le truppe entro confini meno pericolosi: d’ora in poi Deutsche Bank, pur tenendo in vita il trading di valute e bond, farà soprattutto la banca commerciale, sviluppando attività meno rischiose con l’obiettivo di tornare al più presto ad una redditività decente (al 4 per cento dall’attuale 1,3 per poi risalire ad un più accettabile 8). A pagare il prezzo saranno i soci, a partire dal Qatar e dal fondo Cerberus, che già accusano una perdita del 40 per cento negli ultimi dodici mesi e i dipendenti impiegati nello staff centrali (7 mila in tutto sui 24 mila attuali). Non sarà difficile, del resto, attivare un paracadute per questi colletti bianchi con l’eccezione degli ex golden boys dei derivati.
Insomma, un taglio netto perché gli gnomi di Francoforte, dopo le tante, costose false partenze degli ultimi anni compiuti inseguendo banchieri indiani, inglesi o scozzesi capaci di compiere improbabili miracoli, si sono convinti che non è più l’ora dei compromessi. Il sacrificio sarà comunque pesante, sia in termini di immagine che di strategia. Lo smantellamento della grande Deutsche Bank è un segnale eloquente della crisi della globalizzazione, vista dalla potenza esportatrice per eccellenza che ha utilizzato l’istituto come la leva globale per eccellenza al servizio dei made in Germany. Vista dall'Italia, la questione assume un altro sapore: Berlino accetta un sacrificio rilevante della sua banca leader (“lo facciamo oggi – dichiara la fonte anonima al Ft – perché abbiamo accumulato le risorse necessarie”) pur di non assumere obbligazioni con i partner. D’ora in poi sarà ancora più difficile chiedere al sistema tedesco di aderire alla mutualizzazione dei debiti delle banche della zona euro, la battaglia decisiva che Mario Draghi non è riuscito a vincere. Ma, poco male, cade anche l’obiezione sollevata da sovranisti e banchieri di casa nostra dai conti zoppicanti. Nessuno dirà più: “Facciamo come Deutsche Bank”.