Perché l'Europa che ha soccorso Atene non si muoverà per l'Italia
Non ci tratterete come la Grecia, intima Salvini a Bruxelles. Ma il rischio è minimo, sarebbe troppo costoso
Bruxelles non pensi di trattare l’Italia come la Grecia” ha dichiarato Matteo Salvini dagli Stati Uniti dove è in visita ufficiale. La Grecia e il suo popolo sarebbero stati “ammazzati” dai burocrati europei, ma con l’Italia “sarà diverso”: “Bruxelles se ne farà una ragione” assicura. Il capo della Lega, in realtà, solleva un falso problema perché difficilmente l’Italia potrà essere trattata come la Grecia. L’Europa, in effetti, è venuta in soccorso di Atene; nel caso di Roma, invece, potrebbe non farlo. I motivi sono almeno tre.
Primo, la Grecia è piccola, l’Italia è grande: il prodotto interno lordo ellenico corrisponde al 2 per cento dell’intera area dell’euro, quello italiano al 15 per cento. Salvare un’economia di dimensioni limitate come quelle greche è stato possibile attraverso l’erogazione di circa 300 miliardi di euro: soldi dei contribuenti europei (una piccola parte è stata finanziata anche dal Fondo monetario internazionale) distribuiti in tre programmi di aggiustamento iniziati nel 2010 e terminati a metà dello scorso anno. Nell’eventualità di una crisi italiana, un simile ammontare sarebbe (forse) sufficiente per una fase iniziale. Considerando che il Meccanismo europeo di stabilità (il cosiddetto “Fondo salva stati”) dispone di circa 500 miliardi di euro, un potenziale salvataggio potrebbe essere implementato unicamente per due anni: un tempo piuttosto ridotto per un programma di aiuti.
In caso di crisi, Roma potrebbe trovarsi a gestire da sola le conseguenze della politica economica del governo gialloverde. Inutile, quindi, continuare a sostenere che questa Commissione “di euroburocrati” non è legittimata a decidere perché in scadenza. La decisione spetta ai capi di stato e di governo
Secondo, la Grecia aveva perso l’accesso ai mercati, l’Italia continua a vendere titoli di stato. La crisi greca è scoppiata perché nessuno si fidava più a investire in un paese con un rapporto disavanzo/pil superiore al 15 per cento e un rapporto debito/pil in costante crescita e vicino al 130 per cento: il governo ellenico di allora non disponeva, quindi, di margini d’azione. L’Italia, al contrario, si finanzia sui mercati, ma deve offrire rendimenti più elevati rispetto al 2018. Pertanto, il governo italiano può, con la sua politica economica, intervenire e ridurre il costo del suo debito.
Terzo, la Grecia ha creato contagio, l’Italia (per ora) no. La crisi ellenica ha contagiato le economie più vulnerabili dell’Eurozona come l’Irlanda, il Portogallo, la Spagna ma anche l’Italia. Per le prime tre è stato necessario ricorrere a programmi di aggiustamento e finanziamenti europei pari – rispettivamente – a 78 miliardi, 82 miliardi e 39 miliardi di euro; in Italia, invece, la Troika non è arrivata ma, per ripristinare la fiducia di chi compra i nostri titoli di stato, sono state somministrate dosi massicce di austerità. La crisi greca è presto diventata una crisi europea. Nell’attuale caso italiano questo rischio non c’è. Le tensioni sui mercati finanziari non si sono estese anche ad altri paesi: il problema italiano resta un problema italiano che deve essere risolto dal governo italiano. Nell’eventualità di contagio, peraltro, i paesi hanno a disposizione strumenti che all’epoca della crisi greca non esistevano come l’Outright Monetary Transactions (Omt), ossia la possibilità di far intervenire la Banca centrale europea (in modo illimitato ma non incondizionato) al fine di ridurre il livello dello spread e fermare il contagio. E’ chiaro che in assenza di un rischio sistemico, l’Italia non può usare l’arma del ricatto, come invece ha cercato di usare il governo di Atene. E poi, si troverebbe isolata. Rispetto agli anni della crisi greca, lo scenario politico europeo è profondamente cambiato. I sovranisti (con l’unica eccezione di quelli italiani) chiedono conti in ordine e rispetto delle regole. Pertanto, impostare il negoziato sulla procedura d’infrazione su una prova muscolare come sta facendo Salvini (“vediamo chi ha la testa più dura tra noi e Bruxelles”) rischia di rivelarsi una strategia fallimentare. Del resto, questo film lo abbiamo già visto in autunno quando il governo ha presentato una bozza di legge di Bilancio che violava tutte le regole fiscali. Ciò ha creato una perdita di fiducia in chi investe nel nostro paese, con conseguente incremento dello spread oltre i 300 punti base. Il governo ha fatto marcia indietro, ma il conto lo stiamo ancora pagando. La Banca d’Italia ha stimato che con un livello di spread di 100 punti base superiore a quello dell’inizio del 2018, la perdita in termini di crescita per i prossimi tre anni è pari a 0,7 punti percentuali. Questa perdita è tale da cancellare l’impatto positivo delle due misure cardine dell’esecutivo, reddito di cittadinanza e quota 100 (il Documento di economia e finanza prevede per il 2019-2021 un incremento del pil proprio dello 0,7 per cento) a dimostrazione che lo spread non è affatto un “numerino” privo di significato.
A conti fatti, il rischio che l’Italia venga trattata come la Grecia (e, quindi, finanziata e salvata) non c’è. Semmai, il rischio è che l’Italia si trovi a gestire da sola le conseguenze della politica economica del governo gialloverde. Gli altri stati potrebbe decidere di non intervenire in caso di crisi italiana perché un salvataggio sarebbe estremamente costoso sia dal punto di vista finanziario sia da quello politico. Inutile, quindi, continuare a sostenere che questa Commissione di euroburocrati (“pieni di pregiudizi contro di noi”) non è legittimata a decidere perché in scadenza. La decisione non spetta alla Commissione bensì ai capi di stato e di governo che hanno un mandato politico proprio come sostiene di averlo Matteo Salvini. Chi come lui è stato tanto tempo eurodeputato dovrebbe conoscere come funzionano queste procedure. E, pertanto dovrebbe cambiare strategia visto che il costo (davvero elevato) del metodo della “voce grossa” lo stanno pagando gli italiani.