La scalata di Weidmann all'Eurotower
Un rigorista non è per sempre. Perché il presidente della Bundesbank cerca (e merita) redenzione dallo stigma del superfalco per arrivare ai vertici della Bce
Nella narrativa dominante la Banca centrale europea è un luogo popolato di falchi rapaci e innocenti colombe. Dunque la domanda che ci si pone adesso è: Jens Weidmann, presidente della Bundesbank e uno dei più autorevoli candidati alla successione di Mario Draghi, da che parte sta? L’uscita con cui Weidmann ha pubblicamente sdoganato con una dichiarazione a Zeit Online il bazooka di Super Mario (“le Outright monetary transactions sono a tutti gli effetti uno strumento della politica monetaria”) non dice tutto, ma abbastanza sì, su quello che, contrariamente all’opinione comune, potrebbe essere un Weidmann alla testa della Eurotower. Le Outright monetary transactions (Omt, ovvero le emissioni obbligazionarie di un paese sotto attacco speculativo che la Bce sottoscriverebbe senza limiti a fronte dell’adozione di un severo piano di risanamento da parte dell’emittente) sono state infatti il cuore dell’annuncio che il 2 agosto del 2012 dette contenuto operativo al celebre “whatever it takes” dell’attuale leader della Bce e nello stesso tempo sono state il pomo della discordia tra Jens Weidmann, che a esse s’oppose, e Mario Draghi, la radice di una tensione costante che è arrivata a investire i rapporti personali e che, complice l’altissima reputazione della Bundesbank presso l’opinione pubblica tedesca, condusse nei mesi successivi a un cannoneggiamento di Draghi da parte dei media tedeschi. Il no di Weidmann al varo delle Omt, in un momento in cui la rottura dell’euro era nell’ordine delle possibilità, e la successiva testimonianza resa davanti alla Corte costituzionale tedesca, che doveva giudicare della legittimità dello strumento dal punto di vista della Grundgesetz, hanno contribuito a cucire su Weidmann l’immagine tuttora molto in voga del superfalco, del rigorista cieco, del tedesco insensibile alle ragioni della solidarietà. Oggi il governatore della Bundesbank, da pochi mesi riconfermato al vertice della Banca centrale tedesca, quasi riconosce di avere commesso un errore nel 2012 (“mi sono lasciato guidare dalla preoccupazione che la politica monetaria finisse nella scia della politica fiscale”) e ammorbidisce le sue asperità. Dal punto di vista della corsa alla successione la questione degli Omt è dirimente e la dichiarazione alla Zeit ha notevolmente alzato le quotazioni del candidato tedesco. Il quotidiano finanziario Handelsblatt ha scritto nei giorni scorsi che se Weidmann diventerà il prossimo presidente della Bce, la prima cosa che dovrà fare una volta al 35esimo piano della Eurotower sarà pronunciare il suo sì ufficiale agli Omt. Lui ha anticipato i tempi. Si potrà dire, e molti lo dicono, che si tratta di dichiarazioni strumentali, non a caso rilasciate alla vigilia di un Consiglio europeo nel quale si parlerà di nomine. Per i pubblici ministeri del processo alle intenzioni Weidmann dunque resta essenzialmente un falco. Ma la ricerca del consenso più vasto possibile è da sempre parte del gioco delle nomine. Nei mesi che precedettero la sua incoronazione, e anche prima, Draghi fece di tutto per proiettare all’esterno l’immagine del governatore “tedesco”. L’operazione ebbe successo e la Bild gli regalò un elmetto prussiano. Le regole della campagna elettorale per assicurarsi il vertice della Bce prevedono che il candidato proveniente da un paese nord europeo faccia la colomba e quello espressione del sud Europa il falco.
Ma ciò non significa che una volta insediatisi tradiscano le aspettative, perché per fare il presidente della Bce devi agire da colomba o da falco in rapporto alle circostanze. Certo Weidmann è un personaggio complesso che attira opinioni opposte. La comunità degli economisti, in Italia sono tanti, non lo ama. “Il prossimo presidente della Bce potrebbe dover tirare fuori qualche coniglio dal cappello. Dubito che i candidati in lizza ne abbiano la capacità. Da questo punto di vista la scelta di Weidmann sarebbe la più rischiosa”, ha scritto Martin Wolf del Financial Times. Una bocciatura che più dura di così non si può. Molti economisti temono che Weidmann, diversamente da Mario Draghi, non abbia la creatività e la duttilità necessarie per fare fronte a una nuova emergenza, una nuova crisi dell’euro, nel momento in cui la batteria degli strumenti di contrasto a disposizione potrebbe rivelarsi insufficiente. Il timore è che in quel caso Weidmann finisca per restare preda delle antiche pulsioni rigoriste. Secondo Wolf “in una eventualità del genere il Consiglio della Bce potrebbe anche forzare il presidente a fare la cosa giusta. Sarebbe tuttavia una modalità di funzionamento davvero folle per una banca centrale”. In questi giudizi sferzanti c’è anche un po’ della vecchia e mai sopita rivalità anglo-tedesca, un riflesso della difficoltà inglese di comprendere fino in fondo il modo di ragionare tedesco. Alcuni pregiudizi nei confronti di Weidmann nascono dal percorso accademico del presidente della Bundesbank. Suo maestro all’Università di Bonn è stato Axel Weber, questo sì un superfalco, che nel 2011 si dimise dalla carica di presidente della Bundesbank (spianando così la strada a Draghi) in polemica con Angela Merkel che non lo avrebbe sostenuto abbastanza nella corsa al vertice della Bce e con la stessa Bce. Altri pregiudizi nascono dall’impressione (sbagliata) che Weidmann, nel cui ufficio fa mostra di sé, incorniciata, la banconota di un marco, abbia nostalgia per la vecchia moneta nazionale e poca fiducia nell’euro, ma è esattamente il contrario. Il punto è che nel confronto con l’attuale leader della Bce, una personalità che lascia avendo al suo attivo uno straordinario track record di successi e una elevatissima reputazione a livello internazionale, le tappe della carriera di Weidmann (come di altri candidati) si perdono.
Studi alle Università di Bonn e Aix-en-Provence, una esperienza al Fondo monetario internazionale, la responsabilità del Dipartimento monetario della Bundesbank, Weidmann è stato per cinque anni, prima di diventare governatore, il principale consigliere di Angela Merkel per gli affari economici e lo sherpa della cancelliera. Come tale appartiene all’inner circle di Frau Merkel e ha avuto un ruolo chiave in tutte le decisioni di politica economica interna ed estera del paese leader dell’Europa. Nelle discussioni sul salvataggio della Grecia, per esempio, ha convinto la cancelliera a resistere alla tentazione di chiudere la crisi subito, scaricando Atene, e a coinvolgere invece il Fmi, in dissenso con Wolfgang Schäuble che, come noto, avrebbe accarezzato l’idea di una Grexit. Chi lo conosce dice che è una persona “gradevole, pacata e orientata a cercare con le controparti i punti di accordo piuttosto che il contrario. Ciò su cui non transige è il rispetto delle regole”. L’Italia forse proprio per questo non lo ama, anche se lui è molto attento al nostro paese. La stampa tedesca sottolinea molto questo elemento del pragmatismo e del senso politico di Weidmann. Manfred Neumann, suo supervisore per la tesi di dottorato, va oltre ogni immaginazione e dice che “Weidmann non è un Panzer tedesco, piuttosto un senior civil servat francese un prodotto delle grand écoles”. Weidmann non è Schäuble. Ma nonostante tutto l’immagine di falco resiste, perfino dopo le critiche da lui espresse di recente nei confronti del suo paese per avere accumulato un avanzo estero eccessivo. Le etichette sono dure a morire e il no di sette anni fa sugli Omt fa premio sulla valutazione del contesto nel quale deve operare oggi la politica monetaria. Se nel 2012 Berlino poteva vantare di essere uscita in anticipo dalla recessione oggi che anche la locomotiva tedesca è in affanno e l’orizzonte appare carico di incertezze se Weidmann sarà il prossimo presidente della Bce dovrà dimostrare nei fatti la flessibilità adottata nel cambiare opinione sugli Omt.