Perché l'affaire di un fondo francese può mettere in imbarazzo Savona
Un banco di prova in materia di tutela del risparmio e di vigilanza sull’attività degli intermediari finanziari per la Consob
Milano. Sullo sfondo c’è un “affaire” finanziario franco-tedesco, che sta tenendo col fiato sospeso la Borsa di Parigi e che ieri ha portato alle dimissioni di Bruno Crastes, amministratore delegato della società di gestione H2O asset management che fa capo al colosso degli investimenti Natixis. In primo piano, il timore che questa vicenda possa coinvolgere il risparmio italiano, altre volte messo a dura prova dalla distribuzione di prodotti indigesti. In mezzo, una ventina di intermediari finanziari che, sicuramente in buona fede, hanno sottoscritto con la H2O (come la formula dell’acqua) accordi per vendere nel nostro paese i suoi fondi d’investimento attratti probabilmente dai rendimenti più che allettanti. La vicenda è intricata e probabilmente rappresenta per la Consob di Paolo Savona un primo banco di prova in materia di tutela del risparmio e di vigilanza sull’attività degli intermediari finanziari.
Un’approfondita inchiesta del Financial Times di qualche giorno fa ha gettato l’ombra del conflitto d’interesse sui rapporti tra il discusso finanziere tedesco Lars Windhorst – un tempo acclamato come “ragazzo prodigio” dal cancelliere Helmut Kohl e trasformatosi poi in un enigmatico uomo d’affari con diversi fallimenti alle spalle – e il gestore del fondo Crastes, diventato famoso per le sue scommesse sui titoli greci al culmine della crisi del debito sovrano dell’Eurozona. L’articolo ha provocato un terremoto finanziario con il crollo del titolo del gruppo Natixis alla Borsa di Parigi (ha perso il 15 per cento in soli due giorni) e innescato la fuga di investitori dai fondi della H2O, che ora rischia un effetto avvitamento.
La società di gestione è cresciuta rapidamente negli ultimi sei anni: da 3 miliardi di euro nel 2013, il suo patrimonio è aumentato a 30 miliardi di euro, di cui un terzo è originato proprio in Italia. E non è difficile capire perché dal momento che i fondi di H2O sono stati i più performanti d’Europa negli ultimi anni e nel 2018 si sono rivelati una panacea per i gestori italiani che hanno così potuto in parte controbilanciare le perdite di un anno nero per il risparmio gestito. Il problema è che, come documenta il FT, in questi veicoli sono confluite elevate quantità di obbligazioni legate alle attività dello spregiudicato Windhorst e che molti sono titoli “illiquidi”, cioè che comportano forti difficoltà nello smobilizzo.
Che una percentuale minima degli attivi di un fondo d’investimento possa essere illiquida (5-10 per cento) non è di per sé illegale, ma la preoccupazione oggi è che, dopo la decisione di Morningstar di sospendere il rating su uno dei fondi entrati nell’occhio del ciclone, si inneschi un meccanismo perverso: con i riscatti anticipati, la percentuale di illiquidità sale e con il cerino in mano restano i risparmiatori meno avveduti o meno informati. Se è vero, come qualcuno ipotizza, che in Italia sono stati venduti 10 miliardi di euro di questi fondi a intermediari finanziari come Fineco, Azimut, Banca Generali, Banca Mediolanum e Bnl BnpParibas (sono solo alcuni dei nomi che circolano), c’è da domandarsi quanta parte di quest’investimento sia rimasto nei bilanci dei gestori e quanta, invece, sia stata girata alla clientela retail.
Interpellata dal Foglio, la Consob fa sapere che “la situazione è attentamente monitorata” senza, però, aggiungere altro. Sicuramente per verificare se ci sono state irregolarità ci vorrà il tempo necessario, ma è un dato che le nuove regole europee danno inediti poteri di intervento alle autorità di vigilanza in casi come questo. Bisogna vedere fino a che punto Savona intende spingersi su questo terreno, convocando, per esempio, un tavolo con tutti gli operatori che hanno distribuito in Italia i fondi H2O, per salvare il salvabile prima che sia troppo tardi evitando di affrontare un nuovo, scomodo, capitolo italiano di “risparmio tradito”.