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La Bce stoppa l'assalto sovranista alla Banca d'Italia

Valerio Valentini

In un parere di dieci pagine, Mario Draghi in persona evidenzia i dubbi sulla nazionalizzazione di Via Nazionale e sul possibile esproprio delle sue riserve auree

"Incertezze giuridiche", "abrogazioni involontarie" di parti di leggi già in vigore, disposizioni che "confliggono" non solo coi Trattati europei ma anche con "lo Statuto della Banca d'Italia" e, potenzialmente, pure con "i principi legislativi e costituzionali italiani", oltre a limitare il potere e l'indipendenza di Via Nazionale. Con queste motivazioni la Banca centrale europea boccia, di fatto, le riforme sovraniste della Banca d'Italia. Le obiezioni e le perplessità dell'Eurotower sono espresse in un parere di 10 pagine firmate da Mario Draghi, interpellato dal presidente della Camera Roberto Fico – come da prassi, vista la delicatezza della materia – su due proposte di legge in discussione in Parlamento.

 

Da un lato c'è la nazionalizzazione della Banca d'Italia ipotizzata da Giorgia Meloni e appoggiata anche dai grillini; dall'altro c'è una proposta di legge scritta da Claudio Borghi, e sostenuta anche da una mozione congiunta di Lega e M5s al Senato, che intende attribuire la proprietà delle riserve auree di Via Nazionale allo stato.  

La proposta della Meloni, in sostanza, si prefigge di abolire la riforma del 2013 che ha rivalutato il capitale della Banca d’Italia da 156 mila euro a 7,5 miliardi di euro. E questo sarebbe il preludio alla nazionalizzazione di Via Nazionale, visto che l'obiettivo della proposta è quello di far comprare al Tesoro, dopo averle svalutate ex lege, tutte le quote in mano agli istituti privati. Insomma, una confisca in piena norma. E infatti la Bce evidenza le sue perplessità circa il rispetto del "diritto di proprietà", e invita le "autorità italiane" a "valutare se la proposta di legge sia conforme ai principi legislativi e costituzionali italiani". Anche perché, resuscitando una vecchia legge degli anni Trenta, la Meloni vorrebbe nostalgicamente svalutare in modo considerevole ciascuna delle 300 mila quote nominative in cui è diviso il capitale di Banca d'Italia, portandole da 25 euro a "mille lire", pari cioè a 51,64 centesimi di euro. Insomma, un esproprio. Inoltre Draghi sottolinea il fatto che, attraverso questa proposta, il Parlamento abrogherebbe "una serie di disposizioni vigenti della normativa italiana" sulla struttura proprietaria di Via Nazionale che "trova corrispondenza nello Statuto della Banca d'Italia". Insomma, la Meloni avanza un disegno che confligge con lo Statuto, oltre a porre tutta una serie di "conflitti normativi diretti e potenziali a fini di certezza giuridica" su cui la Bce invita le autorità italiane a vigilare. Ma non basta. Perché la proposta di Fdi – incardinata in commissione Finanze e assegnata a una relatrice di maggioranza del M5s, Francesca Ruggiero – si pone anche in contrasto col principio d'indipendenza della banche centrali nazionali sancito dai Trattati europei. E infatti, si legge nel parere, "la Bce sollecita le autorità italiane a valutare attentamente i possibili effetti diretti o indiretti indesiderati della proposta di legge sulla struttura proprietaria della Banca d'Italia e sull'indipendenza della Banca d'Italia". 

 

Poi, c'è l'altra proposta di legge: quella proposta dal leghista Claudio Borghi, presidente della commissione Bilancio alla Camera, che ricalca di fatto una mozione approvata al Senato e firmata dall'altro teorico no euro del Carroccio Alberto Bagnai (il candidato in pectore alla poltrona di ministro degli Affari europei, che però promuove atti parlamentari in conflitto coi trattati europei) e dalla grillina Laura Bottici. In sostanza, Borghi & Co. intendono chiarire quale sia l'“interpretazione autentica” di una norma in vigore sin dal 1988 sulla titolarità delle riserve auree di Via Nazionale, con l'obiettivo di chiarire che la proprietà di queste riserve appartiene allo stato italiano e non al Sistema europeo delle banche centrali (di cui fa parte Banca d'Italia). Ebbene, Draghi ribadisce nel suo parere che "l'Unione ha competenza esclusiva nel settore della politica monetaria per gli stati" dell'eurozona, e che tutte "le operazioni aventi per oggetto attività di riserva in valuta estera che restano alle banche centrali nazionali, compresa la Banca d'Italia [...] sono soggette all'approvazione della Bce al fine di assicurarne la coerenza con le politiche monetaria e del cambio dell'Unione". Non solo. L'obiezione più consistente che viene da Francoforte riguarda il dettato stesso della proposta di Borghi, secondo cui la Banca d'Italia agirebbe "esclusivamente" in qualità di depositario. Tale riferimento, osserva Draghi, "potrebbe essere letto nel senso che limita (o addirittura esclude) il potere della Banca d'Italia di adottare decisioni indipendenti relativamente alla gestione delle riserve ufficiali". Ed ecco perché la Bce arriva a suggerire una significativa correzione, cancellando dal testo quell'"esclusivamente". Infine, le osservazioni dell'Eurotower rafforzano i dubbi sulla corretta interpretazioni delle intenzioni di Borghi e Bagnai: e cioè che, come pare ovvio, attribuire allo stato italiano la proprietà delle riserve auree della Banca d'Italia costituisca in parte un finanziamento monetario allo stato in contrasto con le norme europee. "Un trasferimento delle riserve in valuta estera (comprese le riserve auree) dallo stato patrimoniale della Banca d'Italia allo stato eluderebbe il divieto – scrive la Bce – di finanziamento monetario". I Trattati europei, infatti, vietano alle banca centrali nazionali "di finanziare il settore pubblico".