G20 inutile se gli Stati Uniti e la Cina non trovano l'accordo
È difficile immaginare che sarà Osaka la sede per trovare una soluzione a una crisi politica internazionale. Intanto l'Italia è uscita dal radar dei mercati. Parla Pagani
Milano. “Ne parleremo al G20”. È una frase che si sente spesso ripetere dai leader politici in questi giorni che precedono il vertice di Osaka del 28 e 29 giugno, ospitato per la prima volta dal primo ministro giapponese Shinzō Abe. Molte, infatti, sono le speranze riposte nell’incontro, che ha un’agenda ufficiale incentrata sui grandi temi economici e sociali, dall’impatto dell’innovazione tecnologica al cambiamento climatico, ma che, secondo molti osservatori, vedrà in primo piano le tensioni tra Stati Uniti e Iran.
Cosa c’è da spettarsi? Uno degli italiani più esperti di G20, avendo indossato le vesti di sherpa per più di un governo, è Fabrizio Pagani, ex responsabile della segreteria tecnica del Mef durante i governi Gentiloni-Renzi e precedentemente direttore presso l'Ocse a Parigi. Pagani oggi è responsabile a livello globale delle strategie di investimento del fondo newyorchese Muzinch&C, e il suo punto di vista riflette in parte la visione degli operatori che si muovono sui mercati e in parte l’esperienza acquisita come esponente di istituzioni governative. Secondo il suo parere, è difficile immaginare che sarà Osaka la sede per trovare una soluzione a una crisi politica internazionale, mentre appare più realistico aspettarsi dal G20 una svolta nelle relazioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, che allo stato attuale rappresentano la minaccia più pericolosa alla crescita dell’economia mondiale. “I due paesi dovrebbero trovare, se non un accordo vero e proprio, almeno un punto di vista comune su come condurre le politiche commerciali in futuro – dice al Foglio Pagani – Stati Uniti e Cina sono a un bivio: o andranno ognuno per la propria strada, con tutte le conseguenze che questo comporta nell’organizzazione mondiale degli scambi, della produzione e del lavoro, oppure metteranno dei paletti nei loro rapporti, inaugurando una fase di ingaggio continuo, di competizione cooperativa. Niente potrà tornare più come prima, ma almeno sapremmo che i due paesi sono seduti allo stesso tavolo da gioco, a voler usare una metafora, anche se poi dovranno negoziare di volta in volta su singole questioni. Il mondo ha bisogno di questa certezza e il commercio mondiale è il banco di prova dell’utilità del G20: se non riesce a ottenere quest’obiettivo avrà mostrato la sua inutilità”.
Pagani cita un dato, inedito, per far comprendere quanto importante sia la questione commerciale: “Ai tempi della guerra fredda, l’interscambio tra Stati Uniti e Unione Sovietica era pari a 2 miliardi di dollari all’anno. L’interscambio tra Stati Uniti e Cina oggi è di 2 miliardi di dollari al giorno – spiega – un commercio fuori da un quadro di regole ha un impatto diretto sul pil mondiale e sulle prospettive economiche della stessa America e dell'Europa, che “stanno resistendo grazie a politiche monetarie accomodanti delle banche centrali”. Ma mentre l’economia americana sembra ancora florida, nel Vecchio Continente le prospettive sono al ribasso. “In America si cresce, in realtà non c'è una vera spinta salariale e i mercati danno per scontato che la Fed taglierà i tassi nel secondo semestre. In Europa, invece, c'è un arretramento della produzione industriale, anche se le situazioni variano da paese a paese. La Francia, per esempio, sembra stia superando una fase di difficoltà politica e ha un’industria che tende al consolidamento per prepararsi alla competizione mondiale, mentre la Germania è a un punto di stallo con il governo della sua grande coalizione e una crisi di fiducia delle imprese”.
E l’Italia? Secondo Pagani, il nostro paese è uscito dai radar dei mercati. “Nel breve periodo non c’è la percezione di grandi rischi. Gli ultimi annunci della Bce hanno alleggerito la pressione sullo spread. Il paese, però, potrebbe tornare nell’occhio del ciclone se le agenzie di rating che hanno un outlook negativo, cioè Fitch e Sandard&Poors, si esprimessero con un downgrade sul debito pubblico. Sarebbe utile se ci fossero indicazioni chiare su obiettivi di riduzione del deficit nella legge di bilancio per il 2020”.