La dottrina Blanchard per un costruttivo deragliamento dei conti pubblici
Per l'ex capo economista del Fmi la politica monetaria ha ormai esaurito le sue risorse, bisogna puntare sulla politica fiscale con un monitoraggio della spesa pro investimenti
Scendono, scendono, anzi franano i rendimenti dei titoli di Stato dell’Eurozona. Chi presta diecimila euro alle finanze pubbliche tedesche sottoscrivendo un Bund a dieci anni deve rassegnarsi a versarne altri 360 per parcheggiare i propri denari presso le casse di Berlino. Ma, stavolta, il fenomeno non riguarda solo la cassaforte teutonica, ma ha contagiato i vicini, anche quelli meno virtuosi: la Francia scopre il piacevole brivido degli interessi negativi a dieci anni, nonostante i provvedimenti presi per disinnescare la protesta dei gilets jaunes.
Il fenomeno coinvolge anche l’Italia. Quanti avevano previsto, solo poche settimane fa, che i Btp a due anni potessero scivolare in terreno negativo? O che il famigerato spread si riducesse a 180 punti o giù di lì? Certo, gli altri, a partire da Spagna e Portogallo, spuntano condizioni migliori. Ma qualcosa è cambiato, avverte Olivier Blanchard, già capo economista del Fondo Monetario: la politica monetaria, quella che ci ha permesso di galleggiare in questi anni di crisi, ha ormai esaurito le sue risorse. Perciò, visto che la domanda privata non è in grado di assicurare il pieno impiego, bisogna puntare sulla politica fiscale. Ovvero, attivare la domanda pubblica, cosa alla nostra portata perché, come dichiara in un’intervista a Les Echos, “dobbiamo prendere in considerazione l’ipotesi che i tassi siano destinati a restar bassi per almeno un decennio o anche più”. E di conseguenza, aggiunge, “uno sforamento del debito pubblico, purché per un buon motivo, non mi impedirà certo di dormire sonni tranquilli”.
Che problema c’è a prendere denaro a prestito dai mercati se le condizioni sono così favorevoli? “Non vorrei - incalza l’economista – un taglio del budget a spese della crescita. Che senso ha frenare il pil dell’uno per cento per ridurre il debito di mezzo punto?”. Un’eresia bell’e buona, così come quello che spinse Blanchard nel 2012 a sostenere per primo che i costi dell’austerità erano più alti e i benefici minori di quanto sostenuto dall’ortodossia dominante a Bruxelles. Ma, al di là della critica, l’economista che lavora al Peterson Institute di Washington, ha in mente una terapia d’urto per l’Unione Europea: è necessario introdurre una “regola d’oro” nei bilanci, in modo da distinguere in maniera netta tra spese correnti ed il conto capitale, con l’obiettivo di riattivare il flusso degli investimenti.
Certo, non è una distinzione facile. “E’ vero – riconosce Blanchard – qualcuno potrebbe approfittarne”. E, chissà perché, cita ad esempio il governo italiano. “Un membro del governo mi ha detto che la decisione di abbassare l’età della pensione era, a suo modo, un investimento”. Per evitare “frodi” di questo tipo bisogna istituire un organismo indipendente che goda della fiducia generale. “E bisogna fare in fretta – sottolinea – perché la stretta provocata dall’austerità ha determinato ovunque una brusca caduta degli investimenti pubblici”. Certo, il passaggio è stretto: si tratta di far cadere i “totem” di Maastricht, cioè il tetto del 3 per cento di deficit e quello, del 60 per cento del debito. O, cosa non meno difficile, conciliare “la visione quasi religiosa dei tedeschi per cui il debito è peccato” con la tesi anglosassone che chiudere in rosso non è di per sé una catastrofe. Il passaggio, insomma, è stretto, ma non è invalicabile, se ai vertici ci sarà qualcuno tanto pragmatico e diplomatico quanto lo è stato Mario Draghi. E i tassi bassi per un rappresentano un’occasione da non sprecare. Come è avvenuto in Giappone. “Da 25 anni – conclude Blanchard – Tokyo deve fare i conti con una domanda provata troppo bassa per sostenere il pieno impiego. Di qui una politica monetaria e di bilancio molto aggressiva con un debito che supera il 200 per cento del pil e tassi negativi”. Una politica rischiosa? “Certo, ma ha consentito di raggiungere e conservare una situazione di pieno impiego. L’Europa non può non tener conto di questo esempio”.