Lee Iacocca con John Kerry (foto LaPresse)

Addio a Lee Iacocca, il manager che ha cambiato Ford e Chrysler

Giuseppe Berta

Per anni è stato l’uomo più potente di Detroit, città nella quale prima è stato presidente di Ford alla fine degli anni Settanta, e poi, negli anni Ottanta, è diventato amministratore delegato e presidente del cda della Chrysler

È morto ieri all'età di 94 anni Lee Iacocca. Nato a Allentown, in Pennsylvania, il 5 ottobre 1924, figlio di immigrai italiani, per decenni è stato l’uomo più potente di Detroit, città nella quale prima è stato presidente di Ford alla fine degli anni Settanta, e poi, negli anni Ottanta, è diventato amministratore delegato e presidente del consiglio di amministrazione della Chrysler.

 


 

Quando Lido Anthony - “Lee” – Iacocca si recò al quartier generale della Chrysler per prenderne la guida, nel 1978, ebbe persino difficoltà a trovare la strada, tanto poco si era curato della più piccola delle “Big Three” di Detroit all’epoca in cui stava sul ponte di comando della Ford. L’orizzonte di Iacocca aveva coinciso per molti anni col centro direzionale del gruppo al cui vertice aveva dato la scalata fin dal momento in cui c’era entrato, fresco degli studi di ingegneria. Ma Iacocca, che è stato uno straordinario car guy, non era nato per occuparsi di tecnologia e di produzione, bensì per dominare il settore commerciale, che era la sua vera vocazione.

 

Entrato in Ford nel 1946, si conquistò presto una fama considerevole grazie alle sue doti di venditore: persino Robert McNamara, il manager freddo e compassato che fu suo capo, disse di lui che era in grado di vendere qualsiasi cosa a chiunque. Era tanto abile con le parole che McNamara lo invitò a mettere per iscritto le sue idee, in modo che potessero essere vagliate senza soggiacere alle sue doti di persuasore.

 

Iacocca toccò l’apice del successo col lancio della Mustang, che considerò sempre la sua creatura e assicurò alla Ford un margine di vantaggio. Il primo giorno in cui la Mustang venne messa in vendita se ne vendettero 22.000 esemplari; in due anni ne vennero venduti 1,5 milioni. Era la metà degli anni Sessanta e Iacocca era un quarantenne determinato e ambizioso, per il quale – come scriverà poi nella sua Autobiografia – “la grana e la carriera” erano tutto. Dopo la Mustang era convinto di non avere rivali nella compagine direttiva della Ford e che il leader dell’azienda, Henry Ford II, avrebbe dovuto riconoscere il suo primato all’interno del management. Tra quest’ultimo e Iacocca nacque però un conflitto insanabile, che sfociò prima nel ridimensionamento del manager e poi nel 1978 nel suo licenziamento.

 

Iacocca esprimerà un giudizio terribile su Henry Ford II: lo descriverà come un “eterno playboy”, un uomo incapace di lavorare sodo, che giocava con le apparenze, dedito a “Bacco, tabacco e Venere”. Secondo lui, venne licenziato soltanto per una questione personale, per un’incompatibilità di carattere che col tempo era diventata esplosiva.

 

A cinquantaquattro anni la carriera di Iacocca sembrava in crisi. A riscattarla verrà la recessione della fine del decennio Settanta, quando la caduta dello Scià in Iran causerà un’impennata dei prezzi petroliferi. Fra il 1979 e il 1982, le perdite complessive accumulate dall’industria dell’auto di Detroit ammonteranno a 5 miliardi di dollari, con una perdita occupazionale di 250.000 posti di lavoro. Delle tre case storiche la Chrysler era quella messa peggio: essa perdeva quote di mercato e sui suoi piazzali si accumulavano centomila auto invendute, con una perdita di 600 milioni di dollari. La situazione era al limite quando si decise di chiamare Iacocca per tentare di trovare una via d’uscita.

 

Per Iacocca quella crisi così profonda rappresentò un’occasione unica, quella che aspettava per dimostrare al mondo il suo valore di manager e per iniziare una seconda vita concepita come una rivalsa nei confronti del detestato Henry Ford II. Ottenne dalla Chrysler una totale libertà di decisione e rovesciò l’azienda come un calzino. Quella, scrisse in seguito, non era una società unitaria, ma un insieme di feudi, ognuno dei quali diretto da una primadonna, senza il coordinamento di nessuno. Non esisteva nemmeno un vero sistema di controlli amministrativi.

 

Dal 1979 Iacocca assume il comando totale, formando un ristretta e coesa squadra di manager che agisce in piena sintonia con lui. Ma la situazione finanziaria è terribile e non ci sono le risorse per andare avanti. Occorre rinunciare alle regole classiche e chiedere una fideiussione al governo. Per fortuna il presidente è il democratico Jimmy Carter ed è alla sua amministrazione che Iacocca si rivolge. Lui che ha sempre votato per i repubblicani, contrari agli aiuti di Stato. Da Washington ottiene una fideiussione di 1,5 miliardi di dollari, per poi procedere a nuove emissioni azionarie non appena le cose miglioreranno. Iacocca riesce a convincere il mercato della bontà della sua azione, perché taglia i costi licenziando 8.500 operai e 7.000 impiegati e convince la United Automobile Workers of America a sottoscrivere un contratto sindacale che garantisce risparmi per oltre 400 milioni di dollari. Da parte sua, riduce il suo compenso al valore simbolico di un dollaro finché non si sarà raggiunto il risanamento aziendale.

 

Gli va bene, perché la forte riduzione dei costi si accompagna all’innovazione di prodotto, grazie soprattutto alla “piattaforma K”. Per Iacocca è certamente una stagione esaltante in cui punta tutto se stesso. Persino la pubblicità ruota attorno a lui, che diventa testimonial degli spot televisivi. È Iacocca in prima persona a pronunciare uno slogan che è una sfida: “Se trovate un’auto migliore di questa, compratela!”. Lo fa – dice – per assicurare la massima credibilità alla Chrsyler.

 

Comunque, gli americani comprano sia le auto che produce sia le azioni della Chrsyler, tant’è che Iacocca restituirà in anticipo i soldi ottenuti dallo Stato, con una clamorosa cerimonia pubblica. L’entità del rilancio della Chrsyler è tale da indurre Iacocca a pensare sempre più in grande: prima studia la possibilità della fondazione di un colosso globale dell’auto, poi coltiva l’idea di fondere assieme Chrysler e Ford. Ma dinanzi alle opposizioni dovrà ridimensionare i suoi piani, accontentandosi di gestire la Chrysler finché deciderà di ritirarsi nel 1992, a 68 anni.

 

Nella sua lunga vecchiaia, Iacocca non mancherà di esprimere il proprio apprezzamento per Sergio Marchionne, che per certi versi alla Chrysler attuerà un rilancio simile a quello condotto da lui tanti anni prima. Entrambi hanno avuto nelle loro mani il massimo del potere manageriale ed entrambi, forse, sono stati sfiorati da una tentazione imprenditoriale che poi hanno pragmaticamente contenuto. Tutt’e due le loro esperienze hanno segnato passaggi importanti della storia dell’industria dell’automobile.

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