Borsa in salita e spread in discesa. Ma la situazione italiana non è così rosea
Il governo gialloverde rispetta le odiate regole europee e rimanda all'autunno i problemi da risolvere. La battaglia sul commissario
Roma. L’Italia ha sventato la procedura d’infrazione, o quantomeno ha rimandato il problema al prossimo autunno. “La Commissione europea ha preso atto dello sforzo fiscale aggiuntivo annunciato questa settimana dalle autorità italiane” e l’ha ritenuto “sufficientemente sostanziale da non proporre al Consiglio l’apertura in questa fase della procedura per i disavanzi eccessivi per la non conformità dell’Italia al criterio del debito”. Il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici ha spiegato che “il governo ha approvato un pacchetto che risponde alle nostre tre condizioni: dovevano compensare lo scarto per il 2018, quello del 2019 da 0,3 punti di pil e ottenere garanzie sul bilancio 2020”.
E in effetti il governo italiano ha ottenuto una vittoria, se vittoria la si può definire, perché ha fatto dei passi indietro e si è messo in linea con le regole europee. L’assestamento di bilancio e la mini manovra correttiva del primo luglio dal valore complessivo di 7,6 miliardi, ovvero poco più di 4 decimali di pil, hanno portato a una riduzione del deficit per il 2019 dal 2,5 al 2 per cento.
Questo aggiustamento fiscale – composto da maggiori entrate fiscali, alcune entrate una tantum e dal taglio di 1,5 miliardi del fondo su reddito di cittadinanza e pensioni (che quindi non sarà utilizzato per il decreto famiglia, come a maggio aveva già annunciato Luigi Di Maio) – migliora il saldo strutturale in conformità alle richieste del Patto di stabilità e crescita e compensa in parte anche il deterioramento strutturale dello scorso anno (2018). In pratica il governo ha raggiunto un risultato positivo nel negoziato con l’Europa perché, prima a dicembre con una correzione da 10 miliardi e ora con un’altra da 7,5, ha rinunciato alla sua politica economica: se il paese non è andato a sbattere contro la procedura d’infrazione è perché la manovra in extremis dell’esecutivo gialloverde è stata una retromarcia.
Il ministro dell’Economia Giovanni Tria, che molto si è speso per risolvere il contenzioso esulta due volte: “Per l’accordo con la Commissione europea e, ancora più importante, per la reazione estremamente positiva dei mercati”. Borsa in salita e spread in discesa. Ma la situazione non è poi così rosea. E’ vero che lo spread è in calo, appema sotto i 200 punti (199), al livello più basso dalla nascita dell’alleanza Lega-M5s, ma la discesa riguarda tutta l’Europa e lo spread dell’Italia è molto vicino a quello della Grecia (243) e il triplo di quello di Spagna (62) e Portogallo (72). Il problema della procedura d’infrazione poi non è risolto, ma solo rinviato al prossimo autunno: “Sarà importante rispettare l’impegno di predisporre un bilancio 2020 in linea con le norme fiscali dell’Ue”, ha dichiarato il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis. E questo vuol dire che l’Italia, come peraltro hanno scritto Tria e il premier Giuseppe Conte nella lettera inviata due giorni fa alla Commissione, si impegna per l’anno prossimo a un aggiustamento fiscale da oltre 20 miliardi di euro, che non sarà coperto dall’aumento dell’Iva (come già previsto per legge) ma da un taglio della spesa corrente di pari importo. E questo vuol dire rinunciare allo choc fiscale annunciato da Matteo Salvini.
Chi ha festeggiato per la ritirata vittoriosa è stato Di Maio che, oltre alla sventata procedura d’infrazione, ha esultato perché nell’ambito delle nomine europee “siamo riusciti a portare a casa una casella importantissima come quella del commissario Ue alla Concorrenza”. In realtà quella importante poltrona non è affatto garantita, visto che il nome indicato dal governo italiano dovrà passare il severo scrutinio del Parlamento europeo nella cui storia non sono mancate le bocciature. Molto quindi dipenderà dal profilo della candidatura. Se Salvini vuole davvero ottenere quella casella dovrà indicare una personalità di area, con un curriculum adeguato all’incarico, ma esterna al partito visto che è all’opposizione in Europa. Ad esempio il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi che all’Antitrust ha lavorato a lungo quando commissario era Mario Monti, oppure l’ex presidente dell’Antitrust Antonio Catricalà, oppure gli ex ministri dell’Economia Giulio Tremonti e Domenico Siniscalco. Se invece Salvini indicherà un esponente di partito con competenze tecniche meno solide e una minore esperienza in Europa, gira il nome del ministro dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio, allora forse sarà costretto a ripiegare su un portafoglio meno prestigioso dell’Antitrust. L’esperienza di quest’anno di governo avrà insegnato che per la maggioranza gialloverde l’unico modo per ottenere qualcosa in Europa non è sbattere i pugni, ma fare passi indietro. Sovranisti sì, ma en retromarche.