Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Piegati a Bruxelles

Pier Carlo Padoan

Governo del cambiamento costretto a non cambiar nulla. Una opportunità per fare un’opposizione costruttiva

La Commissione europea ha stabilito che non esistono, per il 2019, i presupposti per aprire una procedura di deficit eccessivo (a motivo del debito) nei confronti dell’Italia. Le motivazioni si trovano nella lettera della Commissione al governo italiano che descrive le misure, di taglio di spesa e di aumento delle entrate, che permettono di raggiungere (più o meno) le cifre necessarie per un aggiustamento strutturale di oltre 7 miliardi (e di oltre 8 miliardi di aggiustamento nominale). La chiusura della procedura, in altri termini, è stata concessa perché il governo ha fatto quanto richiesto dalla Commissione. Ha messo in atto una manovra correttiva (contrariamente a quanto affermato da molti esponenti del governo stesso). 

 

E’ interessante notare la composizione delle misure. In gran parte riflettono miglioramenti delle entrate, molto dovuti ai successi sul fronte della lotta all’evasione dovuti, a loro volta, in buona parte alla fatturazione elettronica (introdotta nella legislatura precedente) la cui introduzione era stata inizialmente osteggiata dal governo gialloverde ma poi frettolosamente accettata di buon grado. (Insomma l’ennesima svolta a U). Ma entrate anche dovute a misure una tantum come l’accordo raggiunto con Gucci (che stranamente è stato considerato nel novero delle misure strutturali) e ai dividendi provenienti da Banca d’Italia e da Cdp. E, infine, al congelamento dei risparmi di spesa dovuti al tiraggio più limitato delle misure bandiera, reddito di cittadinanza e quota 100, per circa 1,5 miliardi. Insomma, si tratta di una significativa “manovra” per riportare i conti in linea con gli obblighi europei. Un comportamento da governo “normale”. Non certo di “cambiamento”.

 

I mercati hanno reagito in modo molto positivo. Lo spread è sceso a 200 punti base confermando una tendenza al ritorno dell’attenzione per i titoli di debito italiani, resi attraenti dai prezzi contenuti e dai rendimenti ancora molto elevati in un contesto di attese per una continuazione della politica accomodante della Bce. Bene, l’Italia ha ottenuto un risultato immediato positivo. Ma è da questo che bisogna partire per valutare cosa potrà succedere nei prossimi mesi. Proviamo a riassumere i punti critici che il governo e il paese si trovano di fronte.

 

Primo. La legge di Bilancio per il 2020. Evitare l’aumento dell’Iva, pagare le spese indifferibili e abbattere le tasse (flat o meno) costa 40 miliardi cioè ben oltre due punti percentuali di pil. Finanziare in deficit questa cifra significa sia infrangere le regole europee sia vanificare i benefici in termini di fiducia (e di spread) che i mercati stanno ora concedendo. Far scattare l’Iva (già in legislazione) o non rimpiazzarla con misure di valore equivalente, rinunciare alla flat tax, equivale a sconfessare le promesse della campagna elettorale permanente. L’incertezza politica viene solo rinviata di qualche mese. Ma per ora quello che il governo ha detto (e scritto) è che si impegna a continuare a rispettare le regole europee. Fino a quando?

 

Secondo. Manca la crescita e misure atte a rilanciarla. La crescita prevista (dal governo) per il 2019 è appena superiore allo zero e inferiore all’uno per cento per il 2020. Spazio di bilancio per misure di rilancio non è disponibile per le ragioni ricordate sopra. L’unica vera leva, gli investimenti pubblici, rimane in gran parte inutilizzata per ragioni che hanno solo in parte a che fare con la disponibilità di risorse. Nella lettera del governo alla Commissione si fa cenno a riforme strutturali, nella Pubblica amministrazione, nel sistema giudiziario, oltre che a misure di sostegno alla produttività. Sono cenni del tutto generici e per questo scarsamente credibili. Rimane il fatto che durante l’anno in cui ha operato la congiuntura internazionale è peggiorata ma il governo ha fatto scomparire le opportunità e gli stimoli alla crescita degli investimenti privati, come testimonia il crollo degli indici di fiducia delle imprese.

 

Terzo. Sono fortemente ridimensionate le misure bandiera dei partiti di governo. Sia reddito di cittadinanza sia quota 100 hanno attivato un interesse inferiore alle attese (e ai finanziamenti previsti). Ciò ha permesso al governo di risparmiare risorse poi riversate nella manovra. Ma il governo dovrebbe ammettere che si tratta di misure nel migliore dei casi, inefficaci. Paradossalmente la loro efficacia si trova proprio nel fatto che le risorse sono state risparmiate. Discorso analogo sembra doversi fare per le misure annunciate e ancora non attuate. Il ministro Matteo Salvini ha già fatto sapere che l’introduzione della flat tax sarà graduale… il ministro Luigi Di Maio insiste con moderazione sull’introduzione di un salario minimo, che viene peraltro osteggiato dai sindacati. E’ decisamente troppo presto per dirlo ma la componente “sovranista” del governo sembra in difficoltà rispetto alla componente “ragionevole”.

  

Quarto. Manca una strategia di lungo termine. Per un paese come l’Italia è indispensabile mantenere un equilibrio tra controllo della finanza pubblica e del debito e sostegno alla crescita. Dopo la manovra correttiva il primo corno del dilemma sembra più vicino a essere posto sotto controllo. Ma questo avviene a scapito del secondo visti i tagli effettuati e promessi. Ma, qui il paradosso, i vantaggi per il governo gialloverde di una stratega della crescita stanno nella sua assenza.

 

Quinto. L’opposizione e soprattutto il Partito democratico hanno di fronte a sé una ampia finestra di opportunità per mettere in evidenza contraddizioni e carenze della politica economica del governo. Questo va fatto sia in termini critici sia in termini costruttivi. Il Partito democratico ha reso pubblica una proposta su tre pilastri per una crescita duratura e sostenibile, investimenti in educazione e formazione, sostegno al lavoro. Occorre andare avanti. Portare avanti il dibattito e tradurlo in proposte concrete e definite.