Dietro ai tremori dell'economia tedesca non c'è recessione. Parla Gros
Un andamento a due facce: da un lato c‘è l’industria manifatturiera che cala, dall’altro lato c’è l’industria dei servizi e le costruzioni “che stanno registrando una crescita senza precedenti”
Roma. Una volta si diceva che quando l’America ha il raffreddore l’Europa rischia la polmonite. Parafrasando quel detto oggi si potrebbe affermare che quando la Germania rallenta l’economia europea si ferma. Per questo le vicende economiche di Berlino interessano così tanto nell’Unione europea. A qualcuno fa addirittura piacere che il motore tedesco perda colpi. Per esempio al nostro governo che con la scusa del rallentamento dell’economia leader può giustificare la crescita zero dell’Italia.
Ma la Germania quanto sta male veramente? Perché questa è la domanda chiave: c’è una recessione in vista nel cuore del Vecchio continente? Gli ultimi dati ufficiali che portano a stimare un aumento del pil di solo lo 0,5 per cento quest’anno dopo che i documenti ufficiali lo davano qualche tempo fa al 2,3 è preoccupante. Ma in Germania gli esperti non vedono delinearsi all’orizzonte una recessione. Anzi, semmai, un recupero rispetto al 2019. Questa per esempio è l’opinione dell’Ifo Center di Monaco, un istituto di ricerca molto ascoltato e diretto per anni da Clemens Fuest l’economista che ha fondato insieme ad altri studiosi di fede europeista il Glieniker Gruppe.
Secondo un rapporto di pochi giorni fa di Ifo, quello dell’economia tedesca è un andamento a due facce: da un lato c‘è l’industria manifatturiera che ha perso l’8,5 per cento negli ultimi dodici mesi sotto i colpi soprattutto delle nuove regole sulle emissioni interessanti il settore automobilistico e per effetto della questione dei dazi; dall’altro lato c’è l’industria dei servizi e le costruzioni “che stanno registrando una crescita senza precedenti”. Forse, anzi certamente, i servizi non bastano a compensare la frenata dell’industria manifatturiera ma senza di loro la frenata sarebbe stata un alt. La Bundesbank non si è espressa sugli ultimi dati, anche perché li aveva previsti quando le cifre sulla crescita del primo trimestre dopo tre trimestri a tinte scure avevano indotto all’euforia: “Calma, l’economia perderà slancio”, aveva detto. Su una linea non dissimile da quella dell’Ifo si colloca anche l’Eucken Institute di Walter Eucker il tutore della tradizione ordoliberale tedesca. C’è un però comunque in tutto questo ragionare. Perché dietro la maschera delle variazioni congiunturali si nascondono i cambiamenti strutturali.
“Che l’industria manifatturiera tedesca rallenti o addirittura scivoli indietro non deve meravigliare dato che l’economia tedesca è la più aperta d’Europa – dice al Foglio il direttore del Centro per gli studi europei di Bruxelles, Daniel Gros – Ma il punto è che la Germania cresceva poco anche prima. Solo che oggi lo schema è cambiato, si riduce l’avanzo estero, crescono i servizi, si espandono i consumi, aumentano i salari, si è arrivati ormai alla piena occupazione. La Germania insomma si sta normalizzando”.
Vista da questa visuale ci si può domandare allora: che farà Christine Lagarde, la prossima presidente della Banca centrale europea? Proseguirà nella politica espansiva di Mario Draghi o darà retta alle sirene tedesche espressione oggi di un paese normalizzato? Annegret Kramp-Karrenbauer, successore di Angela Merkel come leader della Cdu da fine 2018, in un inusuale intervento diretto nel campo della politica monetaria, ha per esempio suggerito, in una intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, che la Bce dovrebbe terminare l’epoca dei tassi bassi che limita la profittabilità degli istituti tedeschi. “E’ una domanda da farsi – dice Gros in merito alle decisioni che prenderà Lagarde – Perché una cosa ormai è chiara: dopo anni di esperienza post crisi: la relazione tra quantità di moneta e prezzi si è spezzata. Che tu faccia politiche espansive o restrittive il 2 per cento resta lontano”. Per il momento Berlino si muove nell’altalena di dati positivi e negativi, trimestre dopo trimestre. Quasi come un paese normale.
tra debito e crescita