Alitalia passi alla Cassa
Se anche Cdp ritiene che la compagnia sia il bidone del secolo perché mai gli italiani dovrebbero farsene carico?
Hic Rhodus, hic salta: resta da capire se sarà la Cassa depositi e prestiti a balzare (sull’attenti), o se invece toccherà ad Alitalia saltare (nel senso di fare il botto). Intervistato ieri sulla Stampa, il vicepresidente della Cdp, Luigi Paganetto, ha fatto una sostanziale apertura, mettendo due soli paletti (“occorrerebbe un partner industriale” e “andrebbe esaminato il piano industriale”). Il vero ostacolo, però, è un altro: lo statuto della Cassa, che all’articolo 3 prevede di acquisire partecipazioni solo in società “di rilevante interesse nazionale… in una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e caratterizzate da adeguate prospettive di redditività”. Finora, Via Goito era prudentemente rimasta in disparte. Adesso, nonostante le resistenze degli azionisti (il ministero dell’Economia e le fondazioni bancarie), i vertici della Cassa potrebbero essere costretti a prendere una posizione.
Se, con Paganetto, la Cdp andrà in soccorso del soldato Di Maio, con questo stesso gesto certificherà la perdita di ogni indipendenza, rompendo una tradizione culminata nel 2013 nella minaccia di dimissioni di Franco Bassanini e Giovanni Gorno Tempini, proprio su Alitalia. La condotta della Cdp alimenterebbe i sospetti di chi, all’interno delle istituzioni europee, dubita che possa ancora essere qualificata come soggetto esterno al perimetro pubblico. La Cassa vedrebbe la sua autonomia operativa gravemente menomata dalle regole che si applicano agli enti pubblici, il suo debito consolidato in quello pubblico, e soprattutto ogni sua manovra passata al setaccio per escludere che si tratti di un aiuto di stato mascherato. Per queste ragioni, le cautele (e lo statuto) potrebbero prevalere all’interno della Cdp. Questo avrebbe una conseguenza: renderebbe evidente a tutti che Alitalia è “Fucked up beyond all recognition” (Fubar), come dicevano i militari americani nella Seconda guerra mondiale. Non solo il suo salvataggio non risponde ad alcun interesse pubblico discernibile – più di cinque viaggiatori su sei si spostano tranquillamente usando vettori alternativi – ma è anche un’iniziativa disperata sotto il profilo economico e finanziario. A quel punto, sarebbe naturale la domanda: se la Cassa stessa ritiene Alitalia una missione impossibile, perché mai gli italiani dovrebbero farsene carico attraverso altri soggetti pubblici?
A raffreddare le presunte velleità della Cdp c’è anche un altro elemento. La compagnia di bandiera è nel mirino della Commissione, perché non è affatto scontato che il prestito ponte di 900 milioni di euro che ne ha assicurato la sopravvivenza, e che oggi è garantito dalle bollette elettriche, sia stato erogato nel rispetto delle norme europee. Né le complicazioni finiscono qui. L’eventuale acquisizione di Alitalia da parte di una cordata egemonizzata dalla Ferrovie andrà notificata all’Antitrust, che affronterà qui il primo test sulla sua effettiva indipendenza. La quota di mercato congiunta su tratte come la Roma-Milano supera il 70 per cento e su altre rasenta il monopolio: il garante della Concorrenza avrà la forza di condizionare il merger all’adozione di contromisure (che però potrebbero pregiudicarne il già fragile piano industriale), oppure chinerà la testa davanti ai desiderata del governo?
La vicenda Alitalia, insomma, potrebbe finire sui libri di testo quale esempio da manuale di come non si fanno le cose. In primis, rischia di affondare credibilità, ruolo e funzione della Cassa depositi. Proprio per questo, è assai probabile che – dosando pensieri, parole, opere e omissioni – la Cdp lascerà sfumare la disponibilità offerta dal suo vicepresidente. Più in generale, mettendo in fila i fatti più recenti ne viene fuori quasi un romanzo: la condizione attuale nasce da un aiuto potenzialmente illegittimo (il prestito ponte), prosegue col controverso intervento di aziende pubbliche riottose (le Ferrovie e la Cdp), continua in un quasi certo bagno di sangue finanziario (l’azienda perde 500 milioni di euro all’anno), e nel giro di poco tempo rischia di chiudersi tornando al punto di partenza, cioè all’alternativa tra la cessione e il fallimento. Abbiamo un possibile vincitore del prossimo premio Strega: “A, il bidone del secolo”.