FCA (LaPresse foto)

L'americana Goldman Sachs gela Fca senza alleati nell'Auto

Mariarosaria Marchesano

Fiat Chrysler Automobile: dopo le mancate nozze con Renault l’alleanza con un altro gruppo automobilistico appare sempre più impellente

Milano. Il 25 luglio 2018 moriva Sergio Marchionne, l’uomo che ha cambiato la Fiat e fatto nascere un gruppo internazionale come Fiat Chrysler Automobile. A pochi giorni dal primo anniversario della sua scomparsa, Fca appare disorientata dopo le mancate nozze con Renault per motivi attribuibili più alla scarsa capacità negoziale e alla sottovalutazione del fattore politico che alla validità del progetto industriale. E ieri una severa valutazione della banca d’affari americana Goldman Sachs è arrivata come una doccia fredda sulla casa automobilistica scatenando una pioggi di vendite sia a Piazza Affari sia a Wall Street. Goldman ritiene che il prezzo giusto per il titolo non sia quello raggiunto nelle ultime sedute di Borsa della scorsa settimana, cioè circa 13 euro per azione – che comunque si è già ridotto di un quinto rispetto a quando Marchionne era alla guida –, ma 11,5 euro, cioè il 6 per cento in meno. Il perché è spiegato in un’ampia ricerca della banca d’affari americana: se Fca non si darà da fare per costruire un nuovo progetto di consolidamento industriale in un settore che va complicandosi come l’Auto, per motivi di mercato, normativi e tariffari, finirà con il diventare una preda. Così le azioni Fca hanno subìto un calo di oltre il 3 per cento sul listino milanese assestandosi poco sopra 12 euro, quasi un euro in meno rispetto alla chiusura di lunedì scorso. Per la verità, Goldman ha espresso un doppio giudizio critico sulla scuderia Agnelli poiché in un un altro report sul settore delle auto di lusso, pubblicato nello stesso giorno, riconosce all’inglese Aston Martin – quotata sul listino di Londra a ottobre 2018 dal gruppo Investindustrial guidato da Andrea Bonomi – un appeal di mercato superiore rispetto alla Ferrari.

 

Per la prima volta, nelle aspettative di crescita degli analisti finanziari il bolide reso famoso dai film di James Bond supera la mitica “Rossa” di Maranello. In questo caso, però, si tratta di una differenza di valutazione marginale e che comunque non mette in discussione la capacità di Ferrari di produrre utili né il prestigio del suo brand rispetto a un marchio come l’Aston che deve ancora riscattarsi da un passato fatto di alti e bassi. Semplicemente la fuoriclasse inglese potrebbe correre più velocemente visto che è uscita in salute da una profonda ristrutturazione. In questo caso la differenza di prospettive non ha scoraggiato gli investitori, che ieri hanno comunque premiato con abbondanti acquisti Ferrari sia a Milano sia a New York.

 

Il discorso è del tutto diverso per Fca. L’esigenza di un’alleanza con un altro gruppo automobilistico appare sempre più impellente perché è l’unico modo per mantenere un soddisfacente livello di remunerazione del capitale per gli investitori considerato che ci sono fattori – come un portafoglio prodotti prestigioso ma obsoleto, l’assenza dalla mobilità elettrica in una fase in cui occorre allinearsi a normative stringenti sulle emissioni di C02 in Europa, il rallentamento delle vendite in nord America dovuto alle questioni tariffarie – che rischiano di compromettere lo sviluppo e i guadagni in futuro. Secondo Goldman, gli investitori si domandano se ci sono margini per riprendere la trattativa con Renault o se per caso si possono percorrere altre vie per assicurare la creazione di valore, com’è accaduto quando, nel 2011, Fiat Industrial è stata separata dal gruppo Fiat o quando nel 2014 è stata acquisita la Chrysler, o ancora quando è stato realizzato lo spin off della Ferrari (2015-2016) e, più di recente, quando stata separata la Magneti Marelli. Da considerare ci sarebbe lo spin off delle controllate Comau (automazione industriale) e Teksid (motori) oppure la valorizzazione di marchi come Alfa Romeo e Maserati, sulle cui capacità di continuare a prosperare come in passato Goldman pure solleva dei dubbi. In finanza spesso si dice che la somma delle singole parti di un’azienda ha più valore del suo insieme. Questo concetto è stato applicato alla lettera a Torino facendo leva su un glorioso portafoglio marchi. E se fosse anche questa volta la soluzione?