Trump usa i dazi per forzare la Fed ma non danneggia la Cina
L'inasprimento della guerra commerciale ha affossato le Borse europee e mandato in tilt Wall Street. In serata l'annuncio dell'accordo sulla carne con l'Ue. Ma questa volta il presidente americano potrebbe avere esagerato
Milano. Due tweet a distanza di un giorno del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump – il primo in cui dice: “Powell ci ha deluso” e il secondo in cui annuncia nuovi dazi sull’importazione di merci cinesi – non possono essere una coincidenza, ma riflettono la tentazione della Casa Bianca di stimolare la Federal Reserve a ulteriori misure espansive. E’ questa l’idea che un gruppo di operatori di mercato, consultati da Bloomberg, si è fatto dell’improvviso inasprimento della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina che ieri ha letteralmente affossato le Borse europee e mandato in tilt anche Wall Street.
Secondo quest’ipotesi, Trump non starebbe solo utilizzando i dazi come un’arma contro la Cina che vuole ridimensionare per il suo primato tecnologico, ma punta ad aggravare quello che è il principale fattore d’incertezza che pesa sull’economia mondiale e cioè le tensioni commerciali. Agitando lo spettro di un rallentamento economico, Trump fornisce alla Federal Reserve una buona motivazione per il prossimo taglio dei tassi, visto che la recente riduzione di 0,25 punti base è stata a suo avviso insufficiente. Che sia vero o meno, è indiscutibile che la gestione che il presidente degli Stati Uniti fa della politica commerciale attraverso i social network produce come risultato uno stato confusionale sui mercati finanziari e il crollo di ieri ne è un esempio lampante. Milano, Londra, Parigi, Francoforte e Madrid hanno registrato perdite consistenti (tra il 2 e il 3,5 per cento), anche se proprio nella tarda serata di ieri (ora italiana) il presidente americano ha annunciato un accordo con l'Unione europea sull'esportazione di carni. Intanto, la diffusione dei dati positivi sull’occupazione americana non sono bastati per risollevare l’umore della Borsa di New York, che ha reagito molto male dopo che giovedì sera, Trump ha annunciato che applicherà dazi del 10 per cento su altri 300 miliardi di dollari di merci provenienti dalla Cina, inasprendo una guerra commerciale che dura da un anno.
Ieri Pechino ha risposto dicendo che non accetterà di essere ricattata e ha minacciato ritorsioni. La Cina non cederà di un millimetro sotto la pressione di Washington, ha detto la portavoce del ministero degli Esteri cinese Hua Chunying, aggiungendo che se l’America supera queste tariffe, la Cina dovrà adottare le contromisure necessarie per proteggere gli interessi fondamentali del paese. A ben guardare, però, l’ultima mossa di Trump sui dazi rischia di danneggiare più gli Stati Uniti che la Cina, Secondo la maggior parte degli analisti, infatti, l’impatto sul pil del paese asiatico sarà dello 0,3 per cento su una previsione di crescita per il 2019 del 6-6,5 . La banca d’affari svizzera Ubs prevede, invece, che l’ulteriore aggravio di tariffe è destinato a pesare in modo consistente sul pil americano del quarto trimestre del 2019 e anche su tutto il 2020 e questo perché molti punti vendita al dettaglio potrebbero chiudere e ne risulteranno compromesse le catene produttive a livello mondiale.
Insomma, questa volta Trump potrebbe avere davvero esagerato nell’alimentare il circolo vizioso dazi-Borse-tassi che va avanti ormai da un anno. La domanda ora è quanto un calo di un altro quarto di punto percentuale del costo del denaro potrebbe aiutare le imprese. “Le tariffe sono state un male assoluto”, ha detto Bill Hutton, presidente di Titan Steel, produttore americano di acciaio in un’intervista al Wall Street Journal, aggiungendo che l’incertezza è nemica delle decisioni di investimento a lungo termine. Le sue parole la dicono lunga sullo stato d’animo degli imprenditori che, in teoria, Trump vorrebbe sostenere. Per contro, altri osservatori di mercato fanno notare che una riduzione degli oneri finanziari potrebbe aiutare quei settori dell’economia che oggi sono fortemente indebitati, quindi sensibili ai tassi, come quello manifatturiero ad alta intensità di capitale e l’industria delle costruzioni, consentendo loro di sostenere i bilanci.