Il ritorno dell'Argentina peronista fa temere un altro default
La prospettiva di un governo Fernández-Kirchner fa salire al 60 per cento la probabilità di una ristrutturazione del debito
Milano. In genere gli investitori annusano con un certo anticipo i rivolgimenti politici. In Argentina, però, sono stati colti di sorpresa, complici i sondaggi recenti che davano l’attuale presidente Mauricio Macri indietro solo di pochi punti rispetto al rivale Alberto Fernández nella corsa alle primarie per le presidenziali del 27 ottobre. La sorpresa di scoprire, invece, che Macri, l’uomo della destra liberale che piace ai mercati, è stato sconfitto con un distacco di ben 15 punti da un leader populista-peronista – che ha come candidata vicepresidente Cristina Fernández de Kirchner – è stata deflagrante. Così si spiega come la Borsa di Buenos Aires abbia potuto reagire con una perdita monstre del 38 per cento lunedì e il peso si sia deprezzato del 20 per cento rispetto al dollaro. E ieri il differenziale dei rendimenti dei titoli di stato argentini ha registrato un incremento del 68 per cento rispetto a quelli americani (il livello più alto degli ultimi dieci anni).
Secondo gli analisti di grandi banche d’affari, come Ubs e BofA Merrill Lynch, esiste la possibilità di un’esplosione dell’inflazione (il dato è atteso per giovedì) con una conseguente perdita di credibilità internazionale del paese sudamericano, dopo un periodo di riforme e di stabilità promosso da Macri. Il timore è che si possa replicare una crisi economica come quella che colpì l’Argentina nel 2001 portando il paese sull’orlo del collasso con la fine della parità sul dollaro. Un tracollo che colpì centinaia di migliaia di risparmiatori di paesi occidentali che avevano sottoscritto obbligazioni emesse dallo stato argentino (i cosìddetti Tango Bond). Forse si tratta di timori eccessivi, ma i segnali d’allarme ci sono già. Nella giornata di ieri, l’andamento dei Cds (Credit default swap) – derivati che rappresentano il costo sostenuto dagli investitori per assicurarsi dal rischio – ha rilevato l’80 per cento di probabilità di un default causato dal debito sovrano rispetto al 50 per cento del giorno precedente.
I prezzi delle obbligazioni esprimono, dunque, la preoccupazione degli investitori che Fernández possa tornare alle politiche populiste applicate in passato dalla Kirchner, che hanno contribuito a portare il debito pubblico a un rapporto rispetto al prodotto interno lordo del 77,4 per cento. D’altra parte, proprio la reazione fortemente negativa dei mercati al risultato delle primarie potrebbe incentivare una parte degli argentini che non hanno votato al primo turno a sostenere l’attuale presidente al secondo turno. La paura di un ritorno “Kirchnerista” potrebbe, insomma, far rimbalzare Macri, anche se è difficile che possa recuperare il distacco. A fare la differenza tra i due candidati sono stati i voti della gigantesca provincia di Buenos Aires, che ha premiato il Fronte della Vittoria, cosa che fa di Fernández il probabile futuro presidente argentino, populista di sinistra. Quest’ultimo non ha ancora chiarito le sue politiche economiche (anche se ieri ha detto che proporrà la revisione dell’accordo commerciale tra Unione europea e Mercosur) e, soprattutto, il tipo di percorso che intende intraprendere con il Fondo monetario internazionale per rinegoziare il debito: il risultato delle primarie ha fatto salire al 60 per cento la probabilità di una ristrutturazione. Al momento, comunque, la crisi argentina non sembra avere avuto contraccolpi seri sui mercati europei – rianimati ieri dalla mossa del presidente Donald Trump di rinviare l’applicazione dei nuovi dazi alla Cina – se non per le società esposte con i loro business nel paese sudamericano. Secondo Equita e Banca Imi, sono diverse le aziende italiane che potrebbero subire un contraccolpo in termini di fatturato e di margini. Tra queste, Enel, Tenaris, Pirelli, Fca, Campari, Cnh e Sogefi-Carraro.