Ursula von der Leyen (foto LaPresse)

Gran brainstorming a Bruxelles tra relax fiscale e un fondo tech

Alberto Brambilla

Il Financial Times parla di un piano della Commissione Ue per una “sostanziale semplificazione delle regole” sul debito pubblico. Sarebbe un bene per Italia e Francia, non per la Germania 

Roma. Prima dell’inizio del nuovo mandato dalla Commissione europea di Ursula von der Leyen cominciano a circolare idee di vasti programmi per contrastare il prossimo rallentamento del ciclo economico. Secondo il Financial Times, Bruxelles potrebbe avviare il lavoro per ammorbidire le regole del Patto di stabilità e crescita per permettere agli stati in difficoltà di usare criteri meno rigidi sulla riduzione del debito in periodi di recessione. Il quotidiano della City cita un piano informale per una “sostanziale semplificazione delle regole”. La portavoce della Commissione, Mina Andreeva, ha però smentito dicendo che “a questo documento bisogna dare zero credibilità perché è basato su un brainstorming interno. Non è stato visto dalla gerarchia della Commissione, né dal presidente eletto né dalla sua squadra di transizione, e ancor meno avallato. E’ sorprendente – ha aggiunto – vedere articoli su un documento in cui le idee sono solo idee che non sono state viste dai politici e che probabilmente non vedranno la luce”.

 

  

Secondo le regole attuali, gli stati dovrebbero ridurre il debito di un ventesimo l’anno per la quota superiore al 60 per cento del pil. E’ comprensibile che sia arrivata la smentita da Bruxelles: la tendenza a una riduzione graduale del debito era stata inaugurata durante la crisi dell’euro, e rilassarla per affrontare un altro choc esterno significherebbe un passo indietro rispetto alle norme introdotte con il “Fiscal Compact” e il “Six e Two Pack” tra il 2011 e il 2013. Paesi come l’Italia e la Francia dovrebbero fare sforzi inferiori sui conti pubblici. Benché vicina alla recessione, la Germania invece non sarebbe avvantaggiata perché già ha un rapporto debito-pil del 60 per cento. L’ipotesi rivelata dal Ft riguarda l’idea di una “riduzione ragionevole e sostenibile per le economie più vulnerabili”.

  

 

Meno regole o regole più lasche sarebbero davvero d’aiuto ai paesi più deboli? Si prenda l’esempio della Grecia post crisi, un paese che non rispettava le regole comunitarie. La devianza greca non ha aiutato gli altri: l’assistenza finanziaria ad Atene è stata accordata con fondi europei, e vi hanno contribuito anche Slovenia e Slovacchia che hanno un pil pro capite inferiore a quello greco. D’altronde von der Leyen non aveva aperto a una revisione, anzi aveva detto: “Dobbiamo lavorare all’interno del Patto di stabilità e crescita. Laddove investimenti e riforme sono necessari, dobbiamo assicurarci che possano essere fatti. Dovremmo fare uso di tutta la flessibilità consentita nelle regole”. Un’eventuale modifica del Patto di stabilità riaprirebbe conflitti tra nord e sud: l’Olanda mal tollera discrezione nell’interpretazione delle regole, mentre Matteo Salvini, all’opposto, se ne vuole infischiare.

 

La fantasia della Commissione europea però non riguarda solo la politica fiscale ma anche quella industriale. Secondo il Financial Times e Politico, avanza l’idea di creare un fondo di investimento tecnologico di 100 miliardi di euro per creare dei campioni europei capaci di competere con i giganti americani (Microsoft, Apple, Amazon, Alphabet, Facebook) e quelli cinesi (Alibaba and Tencent ). Come ha notato Reuters, il progetto rischia di essere velleitario. Esiste già un sistema di finanziamento delle tecnologie considerate strategiche per sostenere progetti di interesse europeo ma non è così efficace dal momento che ci sono voluti quattro anni per avviare il primo progetto sui chip. La maggiore parte dei finanziamenti è andato ad aziende francesi e tedesche. Inoltre non è la mancanza di capitali il motivo per cui le startup tecnologiche europee non emergono. L’anno scorso i fondi di venture capital hanno investito 23 miliardi nel continente, in crescita dai 5 miliardi del 2013, benché inferiore agli Stati Uniti dove gli investimenti arrivano a 130 miliardi. Bloomberg si augura che la Commissione von der Leyen non raccolga il suggerimento e magari assicuri quelle risorse ai paesi dell’Eurozona per affrontare gli choc. Le idee per ora a Bruxelles sono poche, alcune embrionali, altre confuse.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.