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Perché recuperare l'industria del nord dovrà essere la priorità

Andrea Donegà

Dopo l’ignoranza gialloverde la Lombardia metalmeccanica comincia a soffrire il contraccolpo tedesco

Stiamo vivendo una fase di inedite turbolenze politiche. A far tremare il tessuto industriale italiano, però, non sono solo l’ennesima crisi istituzionale e l’assenza, finora, di interventi in grado di risollevare il lavoro e rilanciare l’industria, ma è il rallentamento della Germania. Il pil tedesco, nel secondo trimestre, è calato dello 0,1 per cento, mentre l’export tendenziale è caduto dell’1,3, schiacciato in una guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina che ha messo sotto scacco l’industria tedesca, soprattutto quella automobilistica e delle macchine utensili. Uno schiaffo alle industrie metalmeccaniche lombarde specializzate nella realizzazione di semilavorati da “spedire” in Germania, nella costruzione di macchine utensili e nella filiera automotive che produce il 40 per cento della componentistica montata nelle auto tedesche. Se frenano le esportazioni tedesche frena anche la produzione delle imprese metalmeccaniche molto radicate in Lombardia e ben intrecciate con l’industria tedesca. Germania e Italia hanno un mercato parallelo e integrato: quando cala la produzione tedesca ne risente anche quella italiana in termini di contrazioni produttive, riduzione della visibilità degli ordinativi, problemi occupazionali e aggravi, ancora una volta, per la produttività. Molti posti di lavoro italiani dipendono, quasi direttamente, dalla solidità dell’economia tedesca. Se si aggiunge anche la congiuntura e l’incertezza globale e la Brexit, non è un caso che nel primo semestre dell’anno, in Lombardia, la meccanica ha visto una ripartenza decisa dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali. Rispetto agli ultimi sei mesi del 2018, infatti, per quanto riguarda i lavoratori coinvolti, la cassa integrazione ordinaria ha registrato una variazione del 64 per cento mentre quella straordinaria del 71. Preoccupa anche il ricorso alle procedure di licenziamento collettivo che hanno visto un aumento del 189 per cento. Se guardiamo i dati della produzione delle macchine utensili, pubblicati da Ucimu, preoccupano due aspetti, uno più immediato e l’altro di prospettiva: l’importante frenata delle esportazioni in Germania ha segnato un meno 12 per cento nel primo quadrimestre, confermando il trascinarsi di una congiuntura poco favorevole; il calo del 28,5 per cento, nel secondo trimestre, degli ordini esteri, invece, si tradurrà in mancata produzione tra sei-otto mesi gettando ombre e incertezze che, da questo settore, si allungheranno su altri pezzi di industria considerando che il 50 per cento delle macchine utensili sono collegate al settore automotive. A peggiorare sono anche le aspettative della domanda sia interna che esterna con cali dei livelli produttivi nella meccanica (meno 1,6 per cento), e nel settore automotive (meno 1,2). Secondo Unioncamere Lombardia, inoltre, il numero delle imprese in contrazione superano quelle che avanzano, 43 per cento le prime contro il 40 delle seconde a cui aggiungere il 17 di quelle stazionarie che occorre, certamente, spingere nella parte alta della classifica puntando, poi, a recuperare anche quelle che faticano, senza dimenticare tutta la filiera delle micro imprese dell’artigianato, quasi sempre mono committenti, legate al destino dell’industria.

 

Va anche ricordato che nel 2018 l’Italia ha esportato in Germania 58 miliardi che corrispondono al 12,6 per cento dell’export totale registrando, anche, un interscambio record di 128 miliardi, 90 dei quali sono stati realizzati nelle regioni del nord tra le quali la Lombardia i cui prodotti manifatturieri rappresentano il 97 per cento dell’export regionale.

  


Rispetto agli ultimi sei mesi del 2018 la cassa integrazione ordinaria ha registrato una variazione del 64 per cento mentre quella straordinaria del 71. Preoccupa anche il ricorso alle procedure di licenziamento collettivo che hanno visto un aumento del 189 per cento. La recessione in Germania peggiorerà la situazione


 

Inoltre, alla faccia dei sovranisti anti euro, il 57,5 per cento dell’export italiano avviene all’interno dell’Unione europea e dunque lo stato di salute di questa area interessa direttamente i nostri lavoratori e le nostre imprese. Al governo che verrà chiediamo di mettere al primo posto dell’agenda politica il lavoro e l’industria, stimolando la ripartenza degli investimenti, congelata fino a oggi dalla troppa incertezza economica finanziaria e politica, favorendo politiche espansive per stimolare la domanda interna e aumentare la competitività delle nostre imprese, riducendo il cuneo fiscale, sbloccando le infrastrutture e liberandoci delle zavorre burocratiche che saccheggiano la competitività delle imprese. Anche sindacati e Associazioni datoriali devono fare la loro parte esercitando le responsabilità che il ruolo assegna loro e chiedendo poi al governo di intervenire per migliorare ciò che però si può già fare in autonomia. Nel nostro settore, alla vigilia della partenza della fase di rinnovo del contratto nazionale, abbiamo il dovere di completare l’innovazione introdotta con il contratto del 2016 rafforzando la formazione, la cura delle competenze dei lavoratori e il rilancio della contrattazione di secondo livello per incidere su produttività e aumentare i salari.

 

Vanno anche favorite sinergie e reti tra imprese agevolandone la crescita dimensionale, vincendo la resistenza di molti imprenditori a trovare forme di aggregazione e partnership che consentirebbero, invece, alla nostra industria di avere adeguati mezzi economici e classe manageriale per darsi una struttura organizzativa all’altezza delle sfide dell’industria 4.0. Sarebbe più facile raggiungere anche mercati lontani e inserirsi, meglio, nella catena globale del valore e in supply chain più lunghe con benefici sia in termini di competitività che occupazionali. La contrattazione territoriale e aziendale può favorire sia questa transizione sia l’innalzamento del livello delle relazioni industriali con conseguente miglioramento per le imprese e crescita della classe dirigente, sia manageriale che sindacale, in grado di far partire un volano economico che sarebbe decisivo per le sorti del paese.

 

Serve, infine, favorire i percorsi di accesso alla digitalizzazione delle imprese, di qualunque classe dimensionale. E qui, entra in gioco anche il ruolo dell’Unione europea che ha un ruolo fondamentale per conquistare indipendenza tecnologica e capacità di mantenere il controllo delle tecnologie indispensabili per lo sviluppo, il benessere e la ricchezza, recuperando il gap con Stati Uniti e Cina, come ricordava sulla Stampa Innocenzo Genna. La capacità di avere leadership sul digitale coinciderà anche con il benessere industriale, una sfida che non possiamo mancare.

 

Andrea Donegà è segretario Generale Fim Cisl Lombardia

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