Ma che schianto le auto elettriche dei grillini
L’ambizione di ribaltare la mobilità è delusa da pubblico e forze dell’ordine
L’estate, si sa, è anche periodo di buoni propositi. Tipico è il caso dello studente che si prefigge di colmare qualche lacuna o di approfondire qualche specifico argomento. E chissà se l’ormai ex ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, ha ripensato ai recenti e, in verità, non eccelsi trascorsi studenteschi. Quando tra i tanti tavoli ministeriali ha promesso, con un post su Facebook il 19 luglio scorso, di convocare – prima di agosto – quello sull’automotive “così che poi a settembre si potesse convocare un tavolo a livello europeo con i principali paesi coinvolti, per capire come affrontare insieme il futuro di quest'industria fondamentale, che sta vivendo un cambiamento importante verso la mobilità elettrica”. L’occasione era stata l’incontro con il ministro tedesco per gli Affari economici e l’Energia, Peter Altmaier, in cui si erano affrontati diversi temi centrali per l’agenda europea dei prossimi anni. Tra cui appunto quello dell’industria dell’auto “che sta attraversando un periodo difficile e a cui bisogna dare una risposta a livello europeo”.
Sul numero di tavoli aperti al Mise, pur senza contare quelli legati alle crisi aziendali, ci si potrebbe scrivere un volumetto più che un articolo. Quello sul settore auto, poi, posticciamente convocato, in piena approvazione della legge di Bilancio, non molto ha potuto incidere sulla controversa misura di malus-bonus, introdotta a sorpresa e nottetempo, con cui sono stati inseriti incentivi e disincentivi all’acquisto di nuove auto sulla base delle emissioni di anidrite carbonica. Per esprimere un giudizio definitivo sul provvedimento – ispirato manco a dirlo al bonus-malus écologique applicato in Francia (dove però non si paga il bollo) – bisognerebbe aspettare la fine dell’anno, per ora è certo che il raddoppio della quota di mercato delle auto elettriche, meno dello 0,5 per cento del totale delle auto nuove, ben poco ha potuto sulla flessione generale delle nuove immatricolazioni: meno 3,3 per cento.
Non sempre, anche questo si sa, le ciambelle escono col buco. Quando però ci si vanta delle ricetta senza ben conoscere forno e ingredienti si rischia il flop. Per esempio, nella proposta di Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec) il governo gialloverde ha previsto obiettivi di diffusione delle auto elettriche alquanto ambiziosi; un tema molto caro al M5s che con giovane sicumera non si è trattenuto dal promettere grossi numeri da conseguire con pochi mezzi. Ricordiamo, a fine estate 2017, le parole dell’allora non ancora pluri-ministro Di Maio, il quale, dopo aver girato per la Sicilia con pulmini elettrici insieme all’amico Alessandro Di Battista, disse: “Uno degli obiettivi che ci siamo dati è quello di creare un milione di auto elettriche entro il 2020. E per farlo abbiamo bisogno di qualche centinaio di milioni di euro”. Tralasciando il ricorso al divino verbo creare, a fine 2018 le auto elettriche italicamente targate erano poco più di 12 mila unità (ultimo dato disponibile dall’annuario Statistico Aci pubblicato a giugno). Un valore, invero, molto, molto piccolo ma non tale da scoraggiare i ragazzi del Movimento che appunto nel Pniec hanno fatto inserire una previsione di diffusione complessiva di 6 milioni di auto elettrificate al 2030, di cui 1,6 milioni totalmente elettriche.
Il Piano non è un semplice documento politico – vedi il sempre evocato contratto – ma un atto con valore normativo vincolante (perfino sanzionabile) previsto per il raggiungimento degli obiettivi energetici e climatici dell’Ue per il 2030. Una cosa seria insomma, su cui l’ex commissario al Clima e all’Energia Miguel Arias Canete, audito sulla proposta di Pniec dalle nostre commissioni parlamentari competenti il 6 giugno si è così espresso: “Gli obiettivi sono molto ambiziosi, anche sul tema dell’elettrificazione delle automobili: sicuramente occorre essere ambiziosi ma a volte le modalità di conseguimento non sono chiare e quindi bisogna aumentare la chiarezza”. In effetti, la proposta di Piano non dice granché su come fare a raggiunge gli ambiziosi traguardi, ma cita alcuni ingredienti portentosi. Come gli “incentivi per l’acquisto di auto elettriche o ibride per alcune Forze dell’ordine adibite alla vigilanza nelle aree protette. In particolare, si intende destinare una somma di 10 milioni di euro per l’acquisto di circa 220 autovetture alimentate a energia elettrica o ibride”. Forse 220 auto potranno sembrare poche, specie se si considera l’esborso milionario, ma si sottovaluterebbe la “valenza di promozione dell’utilizzo delle autovetture alimentate a energia elettrica o ibride, considerato che le aree naturali protette sono visitate ogni anno da oltre 100 milioni di persone”. Cento milioni di persone (c’è scritto proprio così, dieci volte gli spettatori della seria A allo stadio) che in quell’ottica diventano potenziali acquirenti di auto elettriche grazie all’effetto “spot” delle forze dell’ordine. Peccato che la procedura ristretta prevista dall’Arma dei Carabinieri per l’acquisto di 107 auto elettriche e 60 fuoristrada ibridi per i reparti addetti alla tutela dei Parchi nazionali e della Biodiversità non ha visto aggiudicatari. Valore massimo della gara quasi 9,43 milioni di euro dato che la fornitura prevedeva la possibilità nei 36 mesi successivi alla stipula di richiedere ulteriori 100 mezzi (75 elettrici e 25 ibridi). Prezzo proposto per le auto elettriche 32 mila e rotti euro (Iva esclusa), quasi 41 mila (sempre Iva esclusa) per le ibride plug-in, quelle che sarebbero dovute andare fuoristrada. Perché quest’esito? Una prima spiegazione è che i costi di produzione sommati a quelli di allestimento specifico delle vetture parrebbero tali da non permettere uno sconto quantità sul prezzo finale.
La strada dell’elettrificazione sarà pure segnata, ma le cose paiono un po’ più complesse di come qualcuno pensava fossero e, comunque, non spiegano perché oggi non si dovrebbero acquistare 60 agili e italianissime Panda 4x4 da 17 mila euro, con tutta l’Iva (e meglio destinare le risorse pubbliche). O perché si dovrebbe convocare un tavolo con gli altri paesi europei, quando non si è in grado di discutere efficacemente in casa propria.