Matteo Salvini (foto LaPresse)

Fermare quota 100

Valerio Valentini

La riforma gialloverde ha fallito. Tre buone ragioni per cambiarla. Parla Brambilla, guru dei leghisti

Roma. Alberto Brambilla non ha dubbi: “Certo che va cambiata, quota 100”. E in bocca al professore comasco, presidente del centro studi “Itinerari previdenziali”, questa fermezza non lascia indifferenti, visto che della riforma tanto voluta da Matteo Salvini lui ne è il padre putativo. “Ma questa riforma è un figlio illegittimo”, scherza lui, quasi disconoscendolo. “La riforma gialloverde non è quella che avevo scritto io”, dice Brambilla. “E quindi cambiarla è opportuno”. 

 

Cambiarla come, però? “Non subito – spiega l’ex sottosegretario al Welfare dei governi Berlusconi, tra il 2001 e il 2006 quando a Via Veneto c’era Roberto Maroni – ché i cambi repentini non sono mai auspicabili, in tema di previdenza. Le persone elaborano progetti, stringono accordi con le aziende: e non è corretto operare stravolgimenti senza preavviso”. E dunque? “E dunque lascerei immutata Quota 100 per il 2020, visto che comunque drenerà molte meno risorse di quelle preventivate, e prevederei però, fin d’ora, delle correzioni a partire dall’anno seguente, visto che d’altronde questa riforma non è riuscita fino in fondo a correggere le storture della legge Fornero”. Eppure proprio per quella, era nata. “Già, ma su almeno tre punti ha fallito, e lì bisogna intervenire, portando di fatto l’età minima per il pensionamento a 64 anni, e non più a 62”.

 

Ed è qui che Brambilla offre i suoi “consigli non richiesti” a chi dovrà redigere la prossima legge di Bilancio, la prima del governo che demogrillino. “Per l’anno venturo lasciamo tutto com’è, d’altronde le domande di uscita anticipata saranno poche. Se quest’anno le richieste sono state circa 160 mila, nel 2020 non supereranno la quota di 50 mila, e il motivo è semplice. A partire dal gennaio prossimo, circa l’80 per cento dei potenziali pensionati è a regime misto, vale a dire degli ibridi tra retributivo e contributivo: a loro, l’adesione a Quota 100 decurterebbe subito almeno il 10 per cento dell’assegno mensile, e questo funzionerà da disincentivo, garantendo peraltro dei cospicui risparmi. Se nel 2019 sono di fatto stati spesi tutti i 4 miliardi stanziati, nel 2020 ci sarà un minor tiraggio di almeno 3 miliardi, che sommati agli altri 3 miliardi di mancata spesa per il reddito di cittadinanza, consentiranno di reperire delle risorse da destinare ad altre misure”.

 

E dal 2021? “Per quella data bisognerà mettere a punto una correzione di Quota 100, che intervenga innanzitutto sulla flessibilità in uscita. La riforma voluta dalla Lega e dal M5s ha superato, è vero, la rigidità assoluta della Fornero, ma introducendo soglie inverosimili: perché a 62 anni di età, sono davvero pochi quelli che possono già vantarne 38 di contributi. Io dunque suggerirei di innalzare l’età minima, lasciando però una certà libertà di scelta: dunque, tra i 64 e i 70 anni di anzianità, con almeno 38 di contributi. Mi sembra più ragionevole”.

 

Il secondo correttivo? “Ha a che fare con l’equità intergenerazionale, un punto su cui ho più volte insistito con Salvini”, dice Brambilla, col tono di chi rivendica una sua autonomia, una vicinanza alla Lega che non s’è mai tradotta in servilismo, una libertà di pensiero che, a detta dei maligni, gli è anche costata una qualche poltrona di prestigio, magari all’Inps. Lui fa spallucce, e prosegue: “Quello che Quota 100 non ha fatto è stato omologare i requisiti tra i vari regimi: retributivo, contributivo e misto. E a rimetterci, ovviamente, sono stati i più giovani, ai quali andranno invece riconosciute le stesse tutele di cui godono coloro per i quali gli stessi giovani versano i contributi. Faccio due esempi. L’integrazione al minimo, che assicura almeno 520 euro di pensione al mese, viene riconosciuta a circa 3,6 milioni di persone. Un altro milione, o poco meno, può invece fare affidamento sulla cosiddetta maggiorazione sociale, che garantisce 630 euro di pensione anche a chi non ha versato abbastanza per raggiungere quella cifra. Ebbene, questi 4,6 milioni di tutelati sono tutti cittadini che hanno lavorato con regime retributivo o misto. Non c’è nessun contributivo, cioè nessun giovane, che al momento sa di poter contare su questi strumenti di aiuto. E non mi sembra affatto giusto”.

 

E infine? “Il terzo punto – risponde Brambilla – riguarda la connessione tra anzianità contributiva e aspettativa di vita. La Fornero aveva legato questi due parametri, producendo però un effetto perverso per cui, in prospettiva, avremmo dovuto lavorare fino a età indicibili. Quota 100 ha giustamente sospeso questa indicizzazione per otto anni, ma bisogna fin d’ora stabilire che al termine di questo periodo di transizione la sterilizzazione sia perpetua”. 

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