I punti di contatto tra le teorie economiche del Pd e del M5s
Europa e stato. Il programma di governo e le traiettorie politiche e culturali del BisConte
Roma. E’ l’ora dei neo o post keynesiani alla guida del paese. Non che siano arrivati tutti improvvisamente adesso, intendiamoci, visto che il “governo di svolta” contiene in sé la metà del “governo del cambiamento” che ha fatto poco o nulla per quattordici mesi.
Qua e là, nelle interviste dei possibili protagonisti del “nuovo” corso, nella redazione del programma condiviso da Pd e Cinque stelle, si vedono le traiettorie politico-culturali del nascente esecutivo, come testimonia anche il primo dei 29 punti condivisi dai nuovi azionisti di governo diffusi ieri: “Tutte le previsioni saranno comunque orientate a perseguire una politica economica espansiva, in modo da indirizzare il Paese verso una solida prospettiva di crescita e di sviluppo sostenibile, senza mettere a rischio l’equilibrio di finanza pubblica”. Al prossimo giro, invece, Pd e Cinque stelle ci spiegheranno come mangiare 10 chili al giorno di pancake senza ingrassare di un etto. Comunque, per ora i punti sono solo una bozza, vediamo cosa resterà nei prossimi giorni.
Animatori del dibattito del Pd in questi anni sono stati, come noto, Luigi Marattin, Tommaso Nannicini, Marco Leonardi, tutti al governo con Matteo Renzi come consulenti e/o sottosegretari. E quelli li conosciamo bene. Da quando c’è Nicola Zingaretti invece è arrivata alla guida del Pd anche un’altra generazione di economisti. Alcune sono vecchie conoscenze come Antonio Misiani, che dirige il dipartimento economia del Pd ed è stimato anche dagli economisti neoliberisti – o presunti tali – per il suo garbo e le sue competenze. Poi c’è Peppe Provenzano, responsabile lavoro del Pd e neo ministro del Sud, che ha scritto un libro per Donzelli “La sinistra e la scintilla” ed è molto ascoltato da Zingaretti.
Critico nei confronti dell’abolizione dell’articolo 18 (“L’abolizione dell’articolo 18 – ha detto Provenzano in un’intervista al Fatto – è stato un errore al di là del merito, per la valenza simbolica che ha avuto”), Provenzano ha un’impostazione keynesiana. Anche lui, come altri che vedremo più avanti, ha studiato al Sant’Anna di Pisa, cuore dell’impero accademico di Giovanni Dosi, direttore dell’Istituto di Economia della celebre scuola pisana e molto vicino ai Cinque stelle. Di recente, in un’intervista a Linkiesta, Provenzano ha spiegato in che cosa ha sbagliato nelle sue politiche economiche il centrosinistra, troppo compromesso lo spauracchio di tutti gli economisti neokeynesiani: il neoliberismo. “Se vuoi riaffermare la distinzione tra destra e sinistra, devi far sì che la sinistra sia alternativa a questa evoluzione del capitalismo, a questo modello sociale e economico che genera individualismo, paura, infelicità, sofferenza sociale”.
Una chiave, ha spiegato Provenzano, è il ritorno dello Stato: “Credo ci sia bisogno di ricostruire la fiducia nello stato. Anche perché c’è un grande bisogno di stato”. Un ritorno che però non si può che accompagnare a una riforma dell’Europa, che va cambiata: “Il processo di integrazione è stato ambiguo. E spesso è stato interpretato favorendo una deriva liberista che ha fatto più danni che altro. Lo smantellamento dello stato italiano non è stato un processo automatico per favorire l’integrazione, ma è stata una scelta politica”.
Animatori del dibattito economico del Pd sono stati Marattin, Nannicini, Leonardi, ora tocca a Provenzano e Misiani
Insomma, se prima il rischio era di morire salviniani, adesso c’è praticamente la certezza, con il combinato disposto Pd-Cinque stelle, di morire statalisti. Una visione del mondo che piace agli economisti d’area del M5s. Come Dosi, appunto, che pure ultimamente aveva espresso varie critiche al governo felpastellato (ma solo perché non abbastanza grillino, pare evidente), a partire dalla flat tax, “un errore madornale sotto tutti i punti di vista”, ha detto nel giugno 2018 in un’intervista all’Espresso. Il professor Dosi ha anche criticato la marcia indietro sul Jobs act: “La mia posizione, che a suo tempo avevo espresso anche ai Cinque stelle, è che l’aumento della flessibilità del lavoro, causato anche dal Jobs Act, contribuisce a ridurre la produttività delle aziende, che possono reclutare manodopera precaria, pagarla poco e mandarla via con facilità”.
Dosi non è uno qualunque, ma un nume tutelare del M5s, ha lavorato alla stesura del programma del movimento ed è il maestro di Andrea Roventini, che era stato indicato da Luigi Di Maio come ministro dell’Economia in campagna elettorale. E Roventini? Non può che essere contento di questo nuovo governo. Anzi, di recente lo ha proprio detto: “Senza la Lega al governo è facile fare meglio, semplicemente evitando certe politiche che non avrebbero aumentato la crescita ma solo esacerbato le disuguaglianze e scassato i conti pubblici”, ha detto in un’intervista a Business Insider, nella quale ha criticato – come il suo maestro – quota cento e flat tax, tessendo le lodi del reddito di cittadinanza che, c’è da immaginare, resterà intatto. L’importante, comunque, è che non ci siano quei turboliberisti della Lega. Che poi sarà davvero vero che i leghisti sono servi del capitale? “Estensione delle pensioni e quota 100, nazionalizzazioni e ri-nazionalizzazioni (si veda Alitalia), dazi, autarchia economica, intervento pubblico nell’economia e prezzi politici (vi ricordate la vicenda del latte sardo?), negozi chiusi la domenica, obbligo di separazione tra banche commerciali e d’affari, una flat tax pasticciata che flat non è… per non parlare dei temi di libertà individuale – come la contrarietà alla liberalizzazione delle droghe leggere. Insomma, i famosi neoliberisti che invocano ‘pieni poteri’ in mano allo Stato”, dice al Foglio l’economista Francesco Del Prato. Insomma, la Lega liberista è un bluff. Quelli che ci credono sono gli economisti a Cinque stelle, che vedono fantasmi ovunque. Come Roventini, appunto.
Sul fronte Cinque stelle invece ci sono Giovanni Dosi e Andrea Roventini, provenienti dalla Scuola Superiore Sant’Anna
“L’esperienza di questo governo – ha detto Roventini – ci ha lasciato in eredità pochi provvedimenti positivi in un oceano di cose negative. Tra i primi, metterei il decreto Dignità che ha ri-regolamentato il mercato del lavoro, perché se si vogliono fare i contratti a tutele crescenti vanno disincentivati e possibilmente eliminate le altre tipologie contrattuali, come già sosteneva Olivier Blanchard”. Un altro elemento positivo, ha aggiunto Roventini, “è stato, ovviamente, il reddito di cittadinanza che si è innestato sul Rei, e che andrà messo a punto dal prossimo governo”. Detto questo, ha spiegato Roventini, “ci sono una serie di provvedimenti negativi, spinti dalla Lega e dalla sua visione bipolare della politica economica. Da un lato ci sono provvedimenti ultra liberisti come la cosiddetta tassa piatta. Hanno provato a raccontare la bufala che si sarebbe pagata da sola: l’economia e l’evidenza statistica invece insegnano che non è vero, e che la flat tax aumenta il deficit pubblico e accresce le disuguaglianze sociali dato che ne beneficiano principalmente i ricchi”.
Dall’altro lato “ci sono politiche populiste di stampo peronista come la famigerata quota 100, un regalo a determinate categorie sociali (maschi di mezza età con carriere continue), solo per raccogliere voti”. Invece il reddito di cittadinanza, c’è da supporre, è servito solo a perdere le elezioni europee. Tanto i soldi la gente li aveva già presi.