Mario Draghi, presidente Bce (foto LaPresse)

L'ultima rivoluzione di Draghi

Renzo Rosati

Tassi bassi e nuovo Qe. Super Mario consegna nuovi stimoli a Lagarde per dare all’Europa il tempo di crescere

Roma. Potendo scegliere tra una nuova riduzione dei tassi sull’euro, portandoli ulteriormente sottozero, e un nuovo Quantitative easing (Qe), acquisti diretti di titoli e obbligazioni, Mario Draghi ha fatto tutte e due le cose con la maggioranza del board della Banca centrale europea dalla sua parte. Secondo Bloomberg, Francia, Germania e Olanda si siano opposte a un rapido ripristino del Qe. L’Eurotower ha deciso una terza azione rilevante: non porre più alcuna scadenza né sui tassi sottozero né su questa nuova versione del Qe. “Open ended”, senza fine, o almeno finché l’inflazione dell’Eurozona non tornerà nei paraggi del 2 per cento (secondo le previsioni arriverà solo all’1,4 nel 2021).

 

Così il tasso sui depositi parcheggiati alla Banca centrale europea dalle banche passa da meno 0,4 a meno 0,5 per cento, con correttivi su quelli marginali per venire incontro alle banche e assicurazioni; il tasso base dell’euro resta virtualmente a zero e già da novembre l’Eurotower riprenderà gli acquisti di asset al ritmo di 20 miliardi al mese e, appunto, senza scadenza prefissata. Quest’ultima è la novità più significativa per un istituto che ha finora sempre indicato nelle sue “forward guidance”, le linee guida, la durata degli interventi, peraltro aggiungendo “più tempo se necessario”. Si tratta di una novità che Draghi in chiusura degli otto anni in cui ha salvato l’euro consegna a Christine Lagarde, che gli succederà a novembre, e al nuovo Consiglio esecutivo nel quale dovrebbe sedere un rappresentante del vertice della Banca d’Italia. Su quanto poi sia impegnativo per Lagarde il lascito di Draghi, anche tenuto conto dell’assenza di limiti al nuovo Qe, è già materia di analisti. La banca d’investimento americana Jefferies pur giudicandolo “importante” nel cambiamento di linee guida, osservano però “che esso darà alla nuova presidente sufficiente flessibilità per imporre il proprio segno, anche considerando l’entità relativamente piccola di acquisti per 20 miliardi al mese”. Le ripercussioni del taglio dei tassi sono state il deprezzamento dell’euro sul dollaro fin sotto la quota di 1,1, il che ha scatenato i tweet di Donald Trump che accusa l’Europa di svalutazione competitiva “mentre la Federal reserve sta seduta, seduta, seduta” (Draghi ha brevemente risposto “la politica delle valute non è nel nostro mandato”). L’intera gamma degli spread è discesa ai livelli minimi, e con essa i rendimenti: i titoli decennali francesi e non più solo tedeschi sottozero, quelli spagnoli allo 0,13, i Btp italiani al di sotto dello 0,8. Poco prima il Tesoro aveva collocato in asta Btp trentennali al 2,06 per cento. Poi come sempre gli spread si sono un po’ normalizzati, con l’Italia che comunque continua a detenere il record della zona euro, ma che secondo molti potrebbe ambire a stabilizzarsi intorno ai 130 punti. Questo significa un risparmio sui rendimenti del 25 per cento rispetto all’agosto (e al governo) scorso di quattro miliardi l’anno per il Tesoro e altrettanto per privati e banche detentori di titoli pubblici rivalutati. Draghi ha citato il cattivo stato dell’economia tedesca, per la quale l’istituto Ifo prevede l’entrata in recessione nel terzo trimestre e un aumento di 40 mila disoccupati. L’Ifo prevede che il governo di Berlino dovrà abbandonare l’obiettivo di aumentare l’avanzo di bilancio, un surplus che dovrebbe ridursi da 45,8 miliardi a 23,1.

 

Anche l’Olanda si appresta a utilizzare 50 miliardi di avanzo dei conti pubblici a investimenti produttivi. L’esempio olandese è stato citato come virtuoso da Draghi, il quale ne ha approfittato per ricordare come la politica monetaria accomodante non abbia gonfiato la finanza aumentando le diseguaglianze, “ma prodotto dopo la crisi 11 milioni di posti di lavoro in Europa”. Di conseguenza la palla è stata nuovamente rilanciata nel campo dei governi, chiamati a politiche di bilancio orientate alla produzione e al lavoro. Draghi per ovvi motivi di separazione dei ruoli non ha voluto commentare le aperture della nuova presidente della Commissione di Bruxelles Ursula von der Layen a misure come la golden rule (cioè l’esclusione degli investimenti dal calcolo dei deficit e debiti secondo le regole europee) ma ha chiarito che l’azione spetta ai governi. “Per quanto riguarda le politiche fiscali – ha detto Draghi – la postura leggermente espansiva dell’area dell’euro fornisce attualmente un certo sostegno all’attività economica. Alla luce dell’indebolimento delle prospettive economiche e della continua rilevanza dei rischi al ribasso, i governi con spazi fiscali dovrebbero agire in modo efficace e tempestivo (riferito alla Germania, ndr). Nei paesi in cui il debito pubblico è elevato (vedi l’Italia, ndr), i governi devono perseguire politiche prudenti che creeranno le condizioni affinché gli stabilizzatori automatici possano operare liberamente. Tutti i paesi dovrebbero intensificare gli sforzi per ottenere una composizione delle finanze pubbliche più favorevole alla crescita”.

 

Un mood vagamente rooseveltiano che echeggia anche nell’agenda dettata ieri sul Corriere della Sera da Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, a beneficio del governo rossogiallo. Il governo Pd-M5s ha un’irripetibile occasione per sfruttare non tanto e non solo la rituale flessibilità nel deficit evocata anche nelle deleghe a Paolo Gentiloni, né ovviamente “per prendere ordini dai suoi datori di lavoro” (by Salvini), bensì per dare un senso a questa strana esperienza “con un catalogo delle cose da fare”. I due economisti sostengono che il governo “avrà il vantaggio di poter contare su un libello ideale di urgenza. Non troppa come accadde al governo Monti; l’emergenza di oggi dovrebbe spronare ma non siamo con l’affanno da orlo del baratro” (si potrebbe aggiungere che ci siamo fermati in tempo). Tra le cose da fare ci sono inglobare il reddito di cittadinanza in quello d’inclusione targato Pd, compreso il fatto che va riconosciuto che salari reali più alti al nord sono normali perché rispecchiano il costo della vita e perché stipendi pubblici più alti fanno concorrenza sleale all’industria privata. Alesina e Giavazzi invitano poi a realizzare sì le infrastrutture, ma anche lì distinguendo “l’alta velocità al nord o tra Napoli e Bari non ha la stessa necessità dell’autostrada Orte-Mestre”. Anche loro invitano a eliminare quota 100 che distorce il welfare a tutto danno dei giovani. “Oggi un barlume c’è”, concludono. Si vorrebbe dire che da ieri si è accesa un’altra luce, sempre in Europa. Benché esperti come quelli di Teneo, advisor finanziario globale basato a Singapore, notino come “gli appelli di Draghi ad azioni di finanza pubblica da parte dei governi rimangano finora inascoltati”. E questo, notano, vale anche per la Germania. Figuriamoci per l’Italia.

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