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Bazooka a salve

Giorgio Arfaras

In un referendum sulle politiche ultra-lasche di Draghi il popolo voterebbe con l’establishment

La Banca centrale europea (Bce) ha reso ancora più lasca la politica monetaria: penalizzando le riserve “in eccesso” delle banche di credito ordinario presso la banca centrale; agevolando l'erogazione dei crediti alla clientela delle banche di credito ordinario; comprando i titoli di stato sul mercato secondario – il Quantitative easing (Qe). Se i tassi di interesse sono al 5 per cento e sono portati a zero, il sistema economico – quando in crisi – si muove. Se, invece, i tassi da meno zero e qualcosa sono abbassati di qualcosa, restando sempre fra lo zero e il meno uno per cento, l’effetto è inferiore. Detto altrimenti, si ha un’efficacia decrescente sul sistema del ribasso dei tassi. Nonostante ciò il capo economista della Bce, Philip Lane, ieri ha difeso l’iniziativa criticata dall’interno del board dal tedesco Jens Weidmann. Lo stesso si può dire del Qe. Esso è efficace nel pieno di una crisi perché la banca centrale, comprando i titoli delle banche di credito ordinario, fornisce loro la liquidità di cui hanno bisogno per non mettere in crisi l'intero sistema. In condizioni normali, invece, il Qe fornisce una liquidità che le banche possono non impiegare, perché non trovano una domanda di credito che giudicano meritevole. La decisione ultima della Bce poco aiuta nelle condizioni di oggi la crescita dell’economia. Che la politica monetaria ultra-lasca non sia più sufficiente per muovere l’economia è stato ricordato sia da Mario Draghi sia da Christine Lagarde, quando era al Fondo monetario. La palla del rilancio passa così nel campo della politica fiscale.

 

Anche nel caso della politica fiscale le cose non sono semplici. Può, infatti, accadere che, grazie a un deficit più elevato, aumenti immediatamente il pil, ma non il suo tasso di crescita di medio periodo – tasso che dipende da altre variabili che possono essere diverse da quelle della semplice spesa iniziale. Con il pil che nel lungo termine non è detto che salga per effetto dello stimolo fiscale si ha intanto che il debito è diventato maggiore. Nell’attesa che la crescita dell’economia lo riduca come peso relativo il che non è scontato, possono crescere gli interessi a parità di tassi oppure i tassi e quindi gli interessi possono riprendere a salire. La soluzione della spesa pubblica in deficit finisce così per non funzionare. Detto delle ragioni dello scetticismo, resta da chiedersi perché le scelte ultra-lasche delle banche centrali suscitino tanto entusiasmo. Immaginiamo un referendum “svizzero” dove viene chiesto “Lei che cosa farebbe?” Le domande che si trovano sulla nostra immaginaria scheda referendaria sono due: 1) volete voi la prosecuzione delle politiche di sostegno dei prezzi delle attività finanziarie, aspettando che l’economia reale ricominci a crescere? (In termini tecnici, il sostegno della domanda riduce il tempo necessario per avere il ritorno della ripresa); 2) volete voi lasciar cadere i prezzi delle attività finanziarie senza alcun intervento pubblico allo scopo di “pulire” il mercato? (In termini tecnici, il mercato trova un equilibrio con un livello dei prezzi inferiore, con l'equilibrio che è determinato dal tasso “naturale” di interesse, e non più dal tasso di interesse “manipolato”);

 

Quale esito aspettarsi dal referendum? Il primo quesito per amor di etichetta lo possiamo definire “keynesiano” ed il secondo “austriaco”. Immaginiamo che cosa sarà detto ai media prima del referendum. I politici non possono promettere un futuro di “lacrime e sangue” e dunque diranno di votare per il primo quesito. Inoltre, è nella natura delle cose che i politici promettano un loro intervento volto al bene, anche perché, se non lo facessero, perderebbero il fascino sacerdotale di guida fra le difficoltà del mondo, e dunque non possono sposare il secondo quesito. L’industria finanziaria non può promettere un futuro di “lacrime e sangue” come viatico di un bene maggiore per paura che gli investimenti siano ritirati e messi nel conto corrente. Inoltre, l’industria finanziaria avrebbe un problema serio di reputazione: se le cose stavano mal messe e lo sapevi, allora perché hai investito; e, se non lo sapevi, allora non sei competente. Per queste ragioni gli “austriaci” avrebbero contro l’establishment. Ma quest’ultimo muove pochi voti. Il grosso dell’elettorato è avverso al rischio, o, se si preferisce, non valuta il rischio futuro, ossia ha, come si dice in termini pomposi, un present bias, e dunque voterebbe per la soluzione interventista.

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