L'incontro tra Sergio Mattarella e Frank-Walter Steinmeier a Villa Rosebery (foto LaPresse)

Asse italo-tedesco

Luciano Capone

“Le economie di Italia e Germania sono interconnesse. Ma loro possono spendere, noi no”. Parla Montanino

Roma. “Siamo in un momento di tensioni commerciali a livello internazionale, in una congiuntura di carattere economico non facile. E questo per due paesi esportatori, come Germania e Italia, è particolarmente rilevante”, ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella dopo l’incontro con il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier, ricordando quanto le due economie siano interconnesse. E proprio in contemporanea, l’Ocse ha tagliato le prospettive di crescita dell’Eurozona per il 2020 e i paesi più colpiti sono proprio Italia e Germania. Berlino risponde al rallentamento con un piano di investimenti green da 100 miliardi fino al 2030. C’è da noi maggiore consapevolezza che le due economie non sono in competizione, ma sono integrate? “Chi operava con i tedeschi lo sapeva”, dice al Foglio Andrea Montanino, capo economista di Confindustria. Ma sui media italiani il sentimento anti tedesco è stato molto forte. “L’opinione pubblica aveva quest’idea: ‘meglio che la Germania soffra’. Ma se soffre la Germania soffriamo anche noi. Si vedono vede i paese come concorrenti, in realtà oggi molto del successo arriva se un paese e la sua industria sono inseriti in una catena globale. Adesso dentro un prodotto a marchio tedesco c’è tanta industria italiana, e viceversa, però non si sa. Nessuno vede quanti pezzi italiani ci sono in una Bmw”, dice Montanino.

 

E ora con la guerra dei dazi soffriamo in due. “La guerra commerciale ha un impatto sulla manifattura e le due aree più colpite sono l’Italia e la Germania. Detto questo, può essere che per l’Italia non sia così grave, almeno in una prima fase, nel senso che c’è una sostituzione di alcuni beni che gli americani importavano dai cinesi e ora iniziano a importare da noi. Ma è un vantaggio di breve periodo”. Molti si aspettano una spinta alla nostra economia dai tedeschi, da una manovra espansiva di Berlino. “Non è che gli stranieri possono convincere i tedeschi a spendere per fare più domanda interna, non funziona così. Lo faranno se a loro serve”, dice Montanino. Ma adesso sono in piena occupazione. “E’ vero che a loro non serve per l’occupazione, ma gli può servire per le infrastrutture e, come dimostra il piano di investimenti verdi presentato dalla Merkel, per la transazione green e tecnologica. Dopodichè loro diventeranno sempre più competitivi e noi, se continuiamo a spendere male, sempre meno”.

 

Con il nuovo governo, che al momento ha abbandonato l’antieuropeismo, sono nate aspettative elevate di maggiore flessibilità sui conti pubblici da parte della Commissione e sulla revisione del Patto di stabilità. Rischiamo una delusione? “Assolutamente sì. Intanto non ci troviamo in una situazione emergenziale. Nelle emergenze puoi anche cambiare le regole. Quando c’è stata la crisi delle banche, in 15 giorni sono state cambiate le regole sugli aiuti di stato e sono state salvate le banche tedesche. Ora non si vede un clima in cui si cambia tutto. Quello che l’Italia dovrebbe fare, con un governo che ha con l’Europa un approccio più benevolo, e viceversa, è lavorare su strumenti nuovi non per chiedere flessibilità fine a sé stessa, ma per fare in modo che l’economia cresca meglio”. In passato di flessibilità ne abbiamo chiesta e ottenuta tanta. “Se il governo si mette a chiedere decimali di flessibilità, come hanno fatto i governi Renzi e Gentiloni, alla fine non va da nessuna parte. Se invece ha l’autorevolezza per mettersi a un tavolo e proporre qualcosa di concreto, come ad esempio un piano sulla sfida ecologica e sull’It, allora è diverso”. Insomma, bisogna puntare più sugli investimenti che sulla spesa corrente, il contrario di ciò che è stato fatto negli ultimi anni. “L’errore italiano è stato quello di chiedere flessibilità per gli investimenti e poi fare tutt’altro. E così abbiamo perso anche credibilità”, dice il capo economista di Confindustria.

 

Oltre al cambio di atteggiamento su Europa ed euro, non sarebbe il caso di una riflessione sulle politiche fatte dal precedente governo Conte? La crescita della spesa corrente ha fatto aumentare il deficit ma non la crescita. Non è il caso di fare un bilancio dei provvedimenti dell’ultimo anno e rivederli? “Se le politiche sono reddito di cittadinanza e quota 100 è chiaro che sono stati fatti degli errori, in entrambi i casi. Ma l’azione di governo non è stata solo quello, ci sono state anche cose utili, come l’eliminazione di vincoli che impedivano agli enti locali di fare investimenti. Di cose giuste ne sono state fatte, su quelle sbagliate forse è il caso di tornare indietro. Non è che adesso puoi tornare a chiedere flessibilità e poi fare le stesse cose. Ora bisogna fare quelle che servono: semplificazione, lotta all’evasione, tempi della giustizia”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali