La Bce spiega il futuro dell'Europa
Le tensioni nell’Eurotower mostrano le ambizioni egemoniche di Parigi
Le dimissioni di Sabine Lautenschläger dal comitato esecutivo della Bce, dove rappresentava la linea rigorista della Bundesbank, possono essere un piccola frattura o segnalare una faglia tra governi e opinioni pubbliche nell’Unione. Oltre alle ultime decisioni ultra-accomodanti di Mario Draghi e le raccomandazioni ancora più espansive trasmesse a Christine Lagarde che gli succederà a novembre, Lautenschläger avrebbe criticato la nomina nel board dell’italiano Fabio Panetta. Il governo di Berlino non ne ha sposato l’irritazione, ha fatto trapelare sorpresa e potrebbe sostituirla con un banchiere più duttile. Ma nell’opinione pubblica di molti paesi del centro-nord la linea Draghi è minoritaria e, allo stesso modo, la svolta green di Angela Merkel e Ursula von der Leyen suscita il timore che paesi come l’Italia dipingano di verde politiche di mero aumento del debito. Ma c’è un altro attore che sta guadagnando il centro della scena e richiede attenzione. Draghi ha trovato per la prima volta l’opposizione, oltre che del blocco nordico, anche del governatore della Banque de France François Villeroy de Galhau e di Benoît Coeuré, rappresentante francese nel board. La Bce è indipendente, ma non è insensibile alle opinioni pubbliche e al clima politico. Più che di conferma dell’asse franco-tedesco, tesi gettonata in Italia, è il caso di parlare di ambizioni di Parigi al primato europeo. La Francia non soffre di stagnazione come la Germania, ha un migliore sistema bancario e più efficaci relazioni con Usa, Cina e Russia. La Confindustria francese non intima a Emmanuel Macron di invertire il rigore di bilancio come la sua omologa tedesca ha fatto con la Merkel. Lagarde era poi a capo del Fondo monetario internazionale che nel 2016 definì la Deutsche Bank “il maggior rischio sistemico mondiale”. Ha già superato l’approvazione del Parlamento europeo (manca ancora quella dei governi). Qualche ripicca non è esclusa. E’ bene che l’Italia aggiorni i vecchi schemi: nei passaggi economici cruciali la politica può chiamare alla coesione, ma può anche essere chiamata a rispondere ai propri elettorati.