No ai dazi, sì al Ceta e all'innovazione genetica. Parla Confagricoltura
Il modo peggiore per affrontare una crisi del comparto è invocare il sovranismo agroalimentare, ci dice Massimiliano Giansanti
Roma. Il rischio è sempre quello: a furia di chiedere dazi ci sarà un paese che ne chiederà uno più del nostro. “E così facendo anziché andare avanti torniamo indietro. E’ il vecchio difetto protezionistico che alla fine si può sintetizzare così: un paese non riconosce l’altro ed entrambi si fanno male a vicenda”. E’ vero che le scelte dell’amministrazione Trump, l’introduzione di dazi e tariffe, possono portare a una crisi del nostro comparto, ma è altrettanto vero che il peggiore modo di affrontarla è invocare “il sovranismo agroalimentare”. E infatti per Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, oltre 350 mila imprese associate, uno che preferisce allargare invece che chiudere, l’unico modo per attraversare questo spavento e scongiurare questo pericolo è pensarla anche in agricoltura come la pensava Cavour sulla religione: “Libere merci in liberi mercati”. Dopo aver minacciato mezzo mondo, Donald Trump vuole fare scoppiare la “guerra formaggio” (tra i prodotti penalizzati Grana padano, Parmigiano, ma anche vino, olio, pasta…) per punire l’Ue per i suoi aiuti ad Airbus. “E però io non credo alla vendetta, credo che oggi le guerre siano commerciali, che Usa e Cina ne stiano combattendo una e che ciascuno cercherà di imporre il proprio dazio. Il dazio è un mezzo e le nostre politiche, intendo quelle europee, non sono al momento all’altezza della sfida” risponde Giansanti. E sia chiaro, non perché vuole recintare il continente. “L’Europa ha finora avuto come strategia soltanto quella di sostenere il reddito degli agricoltori. Bene, ma non basta. Non è sufficiente. Serve una traiettoria”.
Non servono regole? “Anche quelle, ma ancora meglio sono gli accordi tra stati. Un paese come l’Italia riesce a esportare e dimostrare tutto il suo valore nei mercati che si sono regolati attraverso accordi. Penso quindi ai trattati bilaterali come il Ceta, che si è rivelato un successo sia per noi sia per il Canada. Questo per dire che l’obiettivo non è fermare i nemici alle porte, ma fare in modo che la nostra agricoltura abbia le porte spalancate in uno scenario globale”. E per farlo non è una parolaccia usare il termine “produzione” e pensare di aumentarla e con l’aiuto della tecnologia. “Dobbiamo tenere conto della crescita demografica del Sudamerica e della Cina. Il problema della capacità di derrate alimentari è un problema di primo piano che non va eluso”.
In agricoltura la ricerca scientifica, specie il miglioramento genetico, non è considerata il demonio? “Noi di Confagricoltura abbiamo sempre avuto una posizione chiara: ricerca e innovazione. Più ne abbiamo e più possiamo affrontare il tema della sostenibilità ambientale e del cambiamento climatico. Più ricerca e innovazione significa avere piante che non necessitano di chimica, significa ridurre il consumo di acqua. Non siamo contrari alla scienza e agli Ogm perché abbiamo un approccio pragmatico. La domanda è: che benefici può portarci?”. Di sicuro meno malefìci che il pregiudizio produce e che Giansanti sa essere ammantato di mito e, proprio per questo, difficilissimo da sfatare. “Quando è seria, la scienza aiuta l’agricoltura a incrementare la produzione e si rivela indispensabile per impedire, penso in Africa, lo scoppio di guerre alimentari”. In Italia, secondo i dati Istat, a diminuire sono le aziende agricole. “In questo paese manca una vera politica agricola da quarant’anni. E torno nuovamente al sovranismo in agricoltura. Facile chiederlo, ma facciamo parlare i numeri. La nostra produzione si aggira a circa 140 miliardi, 40 di quei miliardi è il valore delle esportazioni. Che facciamo? Ce li teniamo? Il mio consiglio è di produrre meglio e puntare a nuovi mercati”. Lo scorso governo ha ritenuto un successo della Via della seta con la Cina. Non è che era troppo impegnato a guardare a oriente senza comprendere che il pericolo stava arrivando da occidente? “La Cina è un mercato da scoprire, ma la nostra partita si gioca ancora negli Usa, primo mercato extraeuropeo con un valore di quattro miliardi, primo mercato il nostro comparto vitivinicolo. Ha ragione il ministro Bellanova, dobbiamo evitare questa guerra commerciale, fare meglio e parlare meno. In Italia tutti parlano di agricoltura tranne gli agricoltori”.
Carmelo Caruso