Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Consigli non richiesti per non sedersi sull'Iva scampata

Veronica De Romanis

Perché la Nadef salda i conti del governo passato con soldi che non ci sono. Da “rimodulare” c’è solo la spesa

Lunedi scorso il governo Conte rosso-giallo ha approvato la Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (Nadef). Si tratta di un (primo) passo importante per l’esecutivo che è nato proprio per togliere il suddetto Documento dalle mani di Matteo Salvini (e dai suoi consiglieri anti euro). L’obiettivo è quello di dare nuovo ossigeno a una economia asfittica, senza prospettive e con il rischio concreto di un forte inasprimento della pressione fiscale: una “svolta” era, pertanto, necessaria. C’è, allora, da chiedersi se il governo, con questa Nadef, abbia davvero delineato una visione diversa della politica economica. A guardare bene sembrerebbe di no. A cominciare dalla composizione della manovra.

 

 

Più di due terzi sono stati destinati al disinnesco delle clausole di salvaguardia che prevedono un innalzamento dell’Iva. Per settimane le forze della maggioranza hanno spiegato i danni che eventuali aumenti della tassazione indiretta avrebbero provocato alle famiglie e alle imprese: “L’Iva è una tassa regressiva”, si è detto, “e, pertanto, va a colpire la parte meno abbiente della popolazione”. Tutto vero. Ma, va ricordato che le suddette clausole non sono né obbligatorie né – tanto meno – imposte dall’Europa. Sono il risultato di una scelta, quando, a fronte di una nuova misura da finanziare mancano le coperture. In questo caso, il governo può decidere di inserire in bilancio una clausola per garantire maggiore Iva se le risorse necessarie non venissero trovate. Da quando – nel 2011 – le clausole sono state introdotte, le risorse (aumenti di tasse o tagli alla spesa) non sono quasi mai state trovate e le coperture sono state – quasi sempre – assicurate attraverso maggiore disavanzo. Si è, così, dato avvio a un circolo vizioso in cui la “spesa di ieri” è stata coperta con “il debito di domani”. E’ chiaro che un simile strumento riduce la trasparenza del bilancio (perché viene a mancare la relazione tra spese e coperture) e aumenta l’incertezza per i cittadini (a causa del balletto che si ripete ogni anno “Iva si-Iva no”). Eppure, tutte le forze che oggi sono alla guida del paese ne hanno fatto ricorso. Nello specifico, dei 23 miliardi di clausole per il 2020, 19 sono eredità dei governi Renzi-Gentiloni e 4 del Conte gialloverde. Questa somma – unitamente al nuovo debito creato – è servita – per lo più – a finanziare spesa corrente come gli 80 euro, quota 100 e Reddito di cittadinanza, provvedimenti che hanno un impatto sull’economia davvero limitato: su 10 miliardi di spesa per il bonus Renzi, l’incremento dei consumi è stato di circa 2 miliardi (stime Banca d’Italia) mentre le due misure cavallo di battaglia del governo Conte gialloverde non dovrebbe incidere sul pil più dello 0,2 per cento (stime Documento di economia e finanza approvato dallo stesso governo gialloverde lo scorso aprile). Nella Nadef nessuna di queste misure è stata cancellata, modificata o migliorata.

 

  

In sostanza, le clausole di salvaguardia sono state inserite per coprire misure con scarso impatto sulla crescita economica e chi le ha inserite in passato, oggi le elimina perché le considera “il peggiore dei mali”: una logica davvero difficile da seguire. A ciò, va aggiunto che il modo in cui sono state disinnescate è sempre quello del ricorso a maggiore disavanzo che, infatti, aumenta di ben 14 miliardi.

 

La Nadef del Conte rossogiallo non fa altro che saldare i conti del passato usando soldi che non ci sono. Con questo metodo non ci sarà mai spazio per un’agenda di politica economica che guardi allo sviluppo del paese. Ma, del resto, non c’è da stupirsi visto che chi ha ipotecato il futuro è proprio chi – oggi – sta al governo: perché mai queste forze dovrebbero eliminare provvedimenti che hanno “funzionato” almeno dal punto di vista elettorale”? Se, davvero, il Conte rossogiallo vuole imporre una “svolta”, dovrebbe avere il coraggio di concentrarsi sulle spese (e non sulle tasse). Dovrebbe rimodulare la spesa destinata a misure che hanno portato benefici (in alcuni casi dei privilegi) solo a determinate categorie di persone per orientarla verso interventi più produttivi. La lista è nota e lunga, a cominciare dalla riduzione del cuneo fiscale a cui vengono destinate risorse scarse e tardive. Per ora, nel dibattito politico, il verbo “rimodulare” è associato unicamente a possibili aumenti di tasse, e non a possibili tagli di spesa. Tutto ciò non fa ben sperare in una “svolta” a breve.

 

Ps: le clausole di salvaguardia sono state disinnescate solo per il 2020. Nel 2021, le clausole (sempre eredità dei governi Renzi, Gentiloni e Conte gialloverde) sono ancora li. Si ricomincia.

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