I dazi sono un pericolo
Il problema della chiusura e del populismo e i danni causati da chi vuole colpire la libera circolazione delle merci
Dazi, ossia, almeno per definizione, le imposte indirette sui consumi che colpiscono la circolazione dei beni da uno stato all’altro. Ciò che sembra soltanto una misura che colpisce la libera circolazione delle merci, ha però conseguenze più ampie che, come suggerisce il professore di Economia ed ex preside del Dipartimento di Economia della George Mason University, Donald J. Boudreaux, comporta anche e soprattutto una limitazione della nostra libertà.
Perché il libero commercio e quindi quel processo che passa sotto il nome di globalizzazione ha migliorato il benessere mondiale come sottolineato da Carlo Stagnaro su queste colonne: “Tra il 1990 e il 2016, il pil pro capite mondiale (espresso in dollari costanti del 2011 a parità di potere d’acquisto) è cresciuto da circa 9.000 dollari a quasi 16.000. La percentuale di persone in condizioni di povertà estrema è crollata dal 35,9 per cento al 9,9 per cento, mentre la popolazione complessiva passava da 5,3 a 7,3 miliardi di individui: significa che la miseria non è solo calata in termini relativi. In valore assoluto circa 1,2 miliardi di persone se la sono lasciata alle spalle, almeno nella sua versione più nera. Coerentemente, la quota di popolazione sotto-nutrita tra il 2000 e il 2016 è passata dal 14,8 al 10,8 per cento. La risultante di queste forze è stato un calo della disuguaglianza a livello globale: l’indice di Gini (una misura della disparità, in questo caso dei redditi) è sceso, tra il 2003 e il 2013, dal 69 al 63 per cento. La causa prima di questa convergenza sta proprio nell’emersione dei poverissimi, specialmente in India e Cina”.
Per questo come sottolinea oggi il direttore Claudio Cerasa, “la possibilità che la guerra commerciale diventi qualcosa in più di una minaccia è certamente un problema se si sceglie di ragionare in chiave economica (il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire ha detto giustamente che gli Stati Uniti commetterebbero “un errore economico e politico” se decidessero di imporre sanzioni all’Ue attraverso i dazi) ma diventa un’inaspettata opportunità se si sceglie di ragionare in chiave politica osservando cioè gli altri effetti della trasformazione del protezionismo in una minaccia per il mondo”.
Anche perché, come rilevato da una recente ricerca del Peterson Institute for International Economics “la sbandata verso il protezionismo deve meno alle preoccupazioni per la globalizzazione ed il commercio e più all’isolamento e alla xenofobia”. E se, come sottolineato da Alessandro Maran “la maggior parte dei paesi fanno a gara per demolire le barriere ed abbracciare il libero scambio con una sollecitudine che non si vedeva da anni” ecco che restare fuori da tutto ciò potrebbe avere grosse conseguenze sull'economia italiana.
Conseguenze che per troppo tempo sono state ignorate da parte della politica e delle associazioni di categoria italiane che, anzi, hanno soffiato sul fuoco del protezionismo e che solo ora si sono accorte dei problemi che questo ha comportato.
Oggi tutti contro i dazi, tutti preoccupati dal protezionismo , tutti preoccupati per la minaccia di Trump. Bene. Ma una domanda: dove eravate quando si parlava di Ceta, quanto si parlava di Ttip, quando trescavate con Coldiretti strizzando l'occhio ai protezionismi sovranisti?
— Claudio Cerasa (@claudiocerasa) October 3, 2019
Per approfondire leggi anche: