La guerra dei dazi non frena l'euforia spendereccia degli americani
Nell'ultimo anno i concittadini di Donald Trump si sono trovati parecchio più ricchi, e hanno deciso di fare quel che sanno fare meglio: spendere
Ci sono gli artisti impegnati come Martin Puyear che portano al padiglione degli Stati Uniti d’America della Biennale degli igloo fatti di rete metallica, sigillati come trappole, e riflettono sul concetto di libertà, ma la verità è che nella vita di tutti i giorni, anzi dall’ultimo anno, i concittadini di Donald Trump si sono trovati parecchio più ricchi, e hanno deciso di fare quel che sanno fare meglio: spendere. L’Europa che si china dolente e pensosa sul proprio consumismo e riflette sulle derive dell’eccesso di shopping sembra lontana anni luce dall’America che sbarca a Parigi o a Roma e mette mano a un portafoglio nuovamente gonfio.
Con una Borsa cresciuta a due cifre negli ultimi dodici mesi, nell’ordine del 15-20 per cento, una valanga di rimesse dai colossi dell’hi tech e del 2.0 esterovestiti grazie a furbe politiche fiscali (eh sì, dell’amministrazione Trump), un sacco di dividendi che le società quotate hanno deciso di distribuire per incentivare la spesa interna, sospendendo per qualche tempo gli investimenti in tecnologia o infrastrutture, ha provocato un’euforia spendereccia che non si vedeva da anni. Se non ne beneficiano i department stores locali, sempre più in crisi, o certe catene come Forever 21, ormai al fallimento, complice la progressiva dissoluzione del modello del fast fashion, non si può dire lo stesso per settori come i viaggi, la moda, il lusso.
Vista da San Francisco o da New York, la recessione del settore manifatturiero, la minaccia di una guerra commerciale con la Cina o la battaglia sui dazi con la Old Europe non sembra impensierire. Anzi: si varca l’Oceano in business class e ci si gode il nuovo e maggiorato potere d’acquisto come, peraltro, sembrano confermare i dati appena diffusi dalla società di servizi acquisti internazionali Planet. Negli ultimi tredici mesi le vendite Tax Free ad acquirenti statunitensi in Europa, infatti, sono aumentate con tassi a doppia cifra, raggiungendo una crescita record di oltre il 30 per cento dall'inizio dell'anno. L’analisi, che combina i dati relativi agli acquisti Tax Free in Europa suddivisi per mercato di origine dell’acquirente con indicatori economici chiave, tra cui il livello d’inflazione, la crescita del pil e l’andamento valutario, combinandoli in un indicatore a punti, ha mostrato che nel secondo trimestre di quest’anno gli acquirenti statunitensi hanno fatto registrare l’aumento più significativo, posizionandosi secondi in classifica, dietro alla Cina.
Il trend positivo del dollaro si è riverberato in un immediato aumento delle spese all’estero: abituati a comprare, a consumare, gli americani non resistono a una pur piccola disponibilità inattesa. Alle spalle degli Stati Uniti, arrivano i turisti di economie emergenti come India, Filippine, Tailandia e Indonesia: guardatevi attorno, sui treni da Roma a Firenze e Venezia. Ne vedrete sempre di più, grazie all’espansione progressiva della classe media e una crescita economica costante da anni. La Thailandia, che noi italiani abbiamo sempre considerato “terra di vacanze”, per non dire d’altro, ha visto il suo punteggio nell'Indice tax free di Planet alzarsi di sette punti rispetto al trimestre precedente, mentre Filippine e Indonesia rispettivamente di quattro e tre punti. Gli occhi di tutti gli operatori, però, sono fissati sull’India, che registra il tasso di spesa per beni voluttuari acquistati all’estero più alto dopo gli Usa. Secondo l'Organizzazione mondiale del turismo delle Nazioni Unite (UNWTO) entro il 2020 arriveranno in Europa dal subcontinente indiano circa cinquanta milioni di turisti. Attratti dal made in Italy almeno quanto noi italiani lo siamo dal Rajasthan. Ma con molti soldi in più da spendere.