Perché il risentimento tedesco verso Draghi investirà Lagarde
A pochi giorni dalla fine del mandato del presidente della Bce, i falchi di Germania dispiegano le ali
Milano. Fatevi sotto, difensori dell’oro del Reno. È l’ora della rivincita contro il “Drakula romano” come la Bild ha dipinto Mario Draghi che, non pago delle iniezioni di liquidità dl questi anni, osa chiedere più fiscal policy, ovvero più sangue, pardon, intervento pubblico per contrastare la recessione. Vade retro, è il segnale che risuona nelle capitali della finanza del nord Europa, sotto stress per i danni inferti ai bilanci di banche, fondi pensioni ad assicurazioni, il “nucleo duro” del sistema finanziario messi in crisi dai tassi negativi che, parola del ceo di Deutsche Bank, Chistian Sewing (“stanno rovinando il nostro sistema finanziario”). Si potrebbe obiettare che la catena di scandali della banca tedesca porta una qualche responsabilità, ma la sostanza resta: a pochi giorni dalla fine del mandato di Mario Draghi, i falchi di Germania dispiegano le ali: prima le polemiche dimissioni della vicepresidente Sabine Lautenschlaeger, poi l’affondo del presidente della Bundesbank Jens Weidmann, che ha già fatto sapere che si pronuncerà contro il piano di acquisto di bond approvato dalla Bce.
Una minaccia efficace perché presto verrà, grazie a nuovi acquisti, la banca rischia di avere in mano più di un terzo del debito pubblico tedesco, cosa proibita dagli accordi in vigore, che Weidmann non intende affatto cambiare. Grazie a nuovi rapporti di forza nel dopo Draghi. Da Francoforte sono già usciti il vice Vítor Constâncio ed il capo economista Peter Praet. Certo, il suo sostituto, l’irlandese Philip Lane è più colomba che mai. Ma nell’ultimo voto di Francoforte è emersa una consistente opposizione alla linea Draghi: 7 su 26. E a votare contro, oltre ai rappresentanti di Olanda, Germania e Finlandia è stato Villeroy de Galhau, il governatore della Banca di Francia, schierato contro i tassi sottozero che mettono a rischio i conti delle banche transalpine. Insomma, nonostante le convinzioni di Christine Lagarde la linea morbida è più debole. E la finanza d’oltre Reno, annusando la debolezza delle colombe, sta scendendo in campo con i suoi pezzi da novanta.
Tipo Oliver Baete, numero uno di Allianz, che in un’intervista sul Financial Times di ieri non ha usato mezze parole per bocciare l’operato del banchiere italiano, sopportato (con crescente fatica) per sette anni. “Si ritiene – dice – che Draghi sia indipendente. No, non lo è. Ma noi non siamo disponibili a interventi di politica fiscale che spingono la gente a spendere soldi che non ha”. E tanto per dare forza al messaggio contro la tentazione di mettere mano al portafoglio, Baete fa scendere in campo uno dei guru più gettonati del colosso tedesco: Mohammed El-Erian che, sempre al quotidiano britannico, spiega le ragioni valide per abbandonare eventualmente la linea del rigore, ovvero purché serva a investire in infrastrutture, digitalizzazione ed educazione.
La politica dello “schwarze nul”, ovvero niente debito nemmeno a fronte degli investimenti, suscita più di un dubbio tra gli economisti: i cinque principali istituti di ricerca hanno rilevato che la ripresa, a fronte di un mercato mondiale che acquista meno Bmw e Volkswagen, rischia di tardare fino al 2024. Nemmeno i recenti aumenti di stipendi bastano a contrastare la frenata dell’economia che, in assenza di investimenti in infrastrutture, non tiene il passo. Ma, con l’eccezione dei Verdi, i politici per ora non ci sentono.
Intanto, a dimostrare che è difficile uscire dalla droga dei tassi bassi c’è il piccolo terremoto che in settimana ha investito il mercato giapponese dei bond, da vent’anni sottozero. E’ bastato che la Bank of Japan annunciasse che non avrebbe più ricomprato i titoli a 25 anni per scatenare il panico. E’ la conferma che da sola la medicina monetaria, anche in piccole dosi, dopo un po’ non funziona.