Così la web tax inizia a pagarla l'e-commerce. Lezioni francesi
Il costo della digital tax potrebbe ricadere sulle piccole e medie imprese e sui consumatori
Roma. Non c’è certezza per le società digitali in Italia. Il ministero dell’Economia Roberto Gualtieri, parlando giovedì dall’Ecofin in Lussemburgo, e come già anticipato, ha detto che l’Italia applicherà una web tax sulle multinazionali digitali a partire dal prossimo anno. L’Italia sembra volere procedere in parallelo alle discussioni all’interno del G20 e tra i paesi europei sulla tassazione delle industrie dell’economia digitale come Google, Apple, Facebook e Amazon ma intanto mettersi alla frontiera.
“Vogliamo che la digital tax italiana sia collocata all’interno di un quadro internazionale, noi la faremo comunque”, ha detto Gualtieri riferendosi alle discussioni in sede Ocse e a quelle a livello europeo.
Mercoledì 9 ottobre è stata aperta una consultazione pubblica sulla proposta di tassazione globale delle multinazionali digitali avanzata dai ministri delle Finanze del G20 che sarà discussa a Washington ai meeting del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale la settimana prossima. La proposta verrà poi discussa tra i 134 paesi Ocse per essere valutata in modo da arrivare a una proposta ufficiale entro il 2020 e così avere un quadro globale di riferimento. Tuttavia, come detto, l’Italia sembra intenzionata a procedere prima di quella data.
L’ipotesi, come confermato da Gualtieri, è quella di fare riferimento alla web tax approvata dal governo precedente Lega-M5s alla quale il Pd-M5s sembra intenzionato ad aderire. “La applicheremo dal primo gennaio, c’è ma non era operativa”, ha detto Gualtieri. La digital tax che c’è, è del governo gialloverde e prevede una tassa del 3 per cento sui ricavi delle grandi imprese del web ma è rimasta lettera morta in attesa del decreto attuativo. Il gettito annuo atteso per il 2019 di 150 milioni di euro, di 600 nel 2020 e nel 2021.
Alcuni indizi sulla fattibilità e su chi alla fine ne pagherà il costo arrivano dalla Francia di Emmanuel Macron che la web tax la applica e dalla quale quella italiana prende le mosse. La digital tax francese, come quella italiana gialloverde, viene applicata alle società con ricavi derivanti da attività digitali nel mondo di almeno 750 milioni di euro l’anno, di cui 25 all’interno del paese.
Su chi ricadrà il costo? In risposta al governo francese il colosso dell’e-commerce Amazon è stato chiaro: sulle piccole e medie imprese con le quali lavoriamo e in ultima analisi sui consumatori. “Dato che operiamo nel settore della vendita al dettaglio molto competitivo e con margini limitati e investiamo massicciamente nella creazione di nuovi strumenti e servizi per i nostri clienti e partner fornitori, non possiamo sostenere una tassa aggiuntiva”, aveva dichiarato la società. E ancora: “Ciò potrebbe mettere le piccole imprese francesi in una posizione di svantaggio competitivo per i loro coetanei in altri paesi e, come molti altri, abbiamo avvisato le autorità”. Amazon dice di non avere alternative, mentre il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, ha risposto che “non c’è nulla che li obbliga a farlo”. Invero non ci sarebbe nessun motivo per fare il contrario, ovvero evitare di scaricare il costo di una maggiore imposizione sui fornitori e in ultima analisi sui consumatori finali.
Come accade con la carbon tax, una tassa sui metodi di generazione di energia che producono anidride carbonica, di cui si discute in Europa e al Fondo monetario internazionale, il maggiore costo ricade sul consumatore finale di energia elettrica o di carburante. In quel caso la motivazione della tassa deriva dal tentare di calmierare le esternalità negative della produzione di energia da fonti fossili, ammesso che si prevedano delle compensazioni. Mentre nel caso di una web tax non ci sono effetti negativi da moderare ma solo l’intenzione di ricavare gettito rischiando di farne pagare il costo ai consumatori, a cominciare da chi acquista online.