La dote di Italia Viva sta nei risultati renziani ma servono nuove idee
Le tre manovre del governo Renzi hanno dato il sussulto più significativo all’economia da quando c’è l’euro
Con il nuovo governo giallorosso e il messaggio di “normalizzazione” che è stato dato ai mercati, lo spread dell’Italia è sceso significativamente rispetto ai mesi dei reiterati annunci o auspici di una possibile uscita dall’euro del nostro paese che avevano caratterizzato il precedente governo gialloverde. Ovviamente a questo esito ha molto contribuito anche la decisione di una politica monetaria espansiva della Banca centrale europea. E ora già si contabilizzano i possibili risparmi conseguenti per le finanze pubbliche e per il miglioramento della dinamica del nostro debito. Siamo probabilmente entrati in una fase di “bonaccia” politica e dei tassi di interesse che potrebbe durare a lungo.
Siamo però entrati anche in una fase di “bonaccia” della crescita economica, complici gli errori delle politiche gialloverdi e il rallentamento dello scenario internazionale. Infatti, le aspettative sul pil italiano di quest’anno e dei prossimi due anni sono molto modeste, confermate anche dalla Nota di aggiornamento al Def appena elaborata dal neo ministro dell’Economia Roberto Gualtieri: più 0,1 per cento nel 2019; più 0,4 per cento nel 2020 e più 0,8 per cento nel 2021. Vale a dire che nel 2021 non arriveremo nemmeno alla metà della crescita che avevamo toccato nel 2017. Stante questo quadro a tinte miste, c’è attesa per le analisi e le proposte sull’economia che verranno dibattute alla prossima Leopolda, in occasione dell’esordio della nuova formazione politica Italia Viva di Matteo Renzi. Anche lo scrivente porterà in tale occasione un suo contributo personale di idee.
La prima cosa da sottolineare, anche a beneficio dei molti italiani che forse non lo hanno capito o lo hanno ingenerosamente sottovalutato (e non mi riferisco qui solo alla gente comune ma anche agli esperti), è che il triennio 2015-’17, improntato dalle tre manovre finanziarie del governo Renzi (2014, 2015 e 2016), è stato complessivamente il più positivo per l’economia italiana da quando è iniziata la circolazione dell’euro. Infatti, rispetto a tutti gli altri trienni a partire dal 2002-’04, il triennio 2015-’17 è stato il migliore per il lavoro (più 435 mila posti fissi di cittadini italiani e più 329 mila posti fissi a tempo pieno), per il calo delle tasse (meno 1,3 punti percentuali di diminuzione della pressione fiscale, senza considerare l’impatto degli 80 euro valutabile in altri 0,6 punti in meno), per il potere di acquisto delle famiglie (più 36 miliardi di euro rispetto al 2014), per i consumi privati (più 1,5 per cento medio annuo, sempre rispetto al 2014), per gli investimenti in macchinari e veicoli (più 6,3 per cento medio annuo), per gli investimenti in ricerca e sviluppo (più 7,2 per cento medio annuo), per il valore aggiunto dell’industria manifatturiera (più 3,2 per cento medio annuo) e del commercio (più 3,7 per cento medio annuo). Come sintesi di tutto ciò, il pil pro capite italiano per la prima volta ha superato o eguagliato per crescita non solo i pil pro capite tedesco e francese ma anche quello medio dei paesi del G7. E in aggiunta a tutti questi progressi dell’economia reale il debito/pil dell’Italia nel triennio 2015-17 è diminuito di 1,3 punti percentuali.
In definitiva, i suddetti risultati portano in dote a Italia Viva di Matteo Renzi delle significative credenziali di credibilità in materia di politica economica. Certo, i provvedimenti e le riforme avviati nei mille giorni di Renzi non hanno guarito tutte le ferite della lunga crisi 2008-’13 ma hanno aiutato a ricostituire e consolidare, in un quadro di flessibilità che grazie anche al lavoro del ministro Padoan non è andato a discapito della stabilizzazione delle finanze pubbliche, uno zoccolo di maggior reddito, più occupati, più consumi, più investimenti e più alti livelli produttivi: zoccolo che se oggi non ci fosse vedrebbe l’economia italiana ancora ferma ai livelli del 2013. In aggiunta, le imprese del made in Italy sono diventate più competitive e innovative grazie a super-ammortamento e Piano industria 4.0.
Purtroppo, le costose e disarticolate misure del governo giallo-verde hanno dissipato risorse preziose, con quota 100, reddito di cittadinanza e mini flat tax: hanno fatto crescere lo spread e aumentato il debito pubblico. In altre parole, la flessibilità, che nei mille giorni di Renzi era stata utilizzata per crescere, nella seconda parte del 2018 e nel 2019 è stata destinata unicamente a costose ed improduttive misure assistenziali. Inoltre, sono stati bloccati gli investimenti: quelli pubblici con la politica dei “no” e quelli privati con l’ondata di sfiducia generata dagli atteggiamenti velleitari e anti europei del precedente governo. Tutto ciò, unitamente al peggioramento del quadro internazionale, ha gravemente compromesso la crescita economica dell’Italia. Il nostro paese, inoltre, soffre sempre di più di un forte e peculiare calo demografico, che frena ulteriormente i nostri consumi e il nostro pil rispetto alle altre maggiori economie europee, la cui popolazione continua invece ad aumentare.
A questo punto, guardando non più al bilancio del passato ma al futuro, mi sento di affermare che una “operazione verità” assolutamente necessaria che Italia Viva dovrebbe portare avanti è quella di dire in modo chiaro agli italiani che con i provvedimenti del governo gialloverde è stata sprecata l’occasione di completare il ciclo della ripresa e di proseguire nella riduzione del rapporto debito/pil. Infatti, la nostra economia nel 2019-21 sarà purtroppo in completa stagnazione. I risultati economici degli anni precedenti, come un pil che era arrivato a crescere dell’1,7 per cento nel 2017 o i consumi delle famiglie che erano aumentati dell’1,9 per cento nel 2015 con gli 80 euro, non si rivedranno per parecchio tempo, forse per anni. Nel frattempo, la Banca d’Italia ci ha informato che il debito pubblico italiano è stato rialzato, sia pure solo per adeguamenti contabili e modifiche di perimetro. Ma poco importano queste precisazioni tecniche e che la revisione non comporti alcun impatto sulla sostenibilità delle finanze pubbliche: infatti, quel che appare agli occhi del mondo è che oggi abbiamo 58 miliardi di debito in più, calcolato a fine 2018, e che il debito/pil italiano è avviato a sforare il 135 per cento quest’anno.
E’ chiaro che in questa fase non ci sono più margini finanziari non solo per vane promesse di tagli storici delle tasse ma è già un miracolo che esse non aumentino. L’aumento dell’Iva, per intanto, sembra essere stato bloccato: sarebbe stato un autentico disastro per consumi e pil. Il debito pubblico è molto alto e va ridotto il rapporto debito/pil, cercando comunque di rilanciare gli investimenti anche scorporandoli dal calcolo del deficit con nuove regole europee più pro-crescita, con investment bond, green bond o simili. Occorre inoltre approfittare del momento favorevole dei tassi per allungare le scadenze del nostro debito.
Nello stesso tempo, anche in questa era di “bonaccia” della crescita in cui siamo nuovamente sprofondati c’è però modo di fare o completare riforme strutturali “di sistema” da tempo necessarie che potranno rilanciare lo sviluppo economico nel medio-lungo termine: semplificazione amministrativa, digitalizzazione, riforma del fisco e lotta all’evasione fiscale, lavoro (completare il Jobs Act significa soprattutto efficientare le politiche attive per il lavoro), scuola e formazione (serve sempre più anche la formazione tecnica), giustizia civile, famiglia (il Family Act è fondamentale per contrastare il declino demografico e permettere a più donne di lavorare), servizi sociali più efficienti, politiche per il sud. Senza queste riforme strutturali l’Italia non offrirà un vero futuro né ai giovani né alle nostre eccellenti imprese. Né tanto meno attrarrà investimenti stranieri.
Le iniziative e proposte di riforma di Italia Viva del 2019-’29 dovranno tentare di costruire una Italia più moderna ed efficiente, quell’Italia che sogna la gente “normale”, come Ettore Rosato ha definito in una recente intervista l’elettorato tipo del nuovo partito renziano. Gente “normale” nel senso che è gente che lavora, intraprende, produce, esporta, paga regolarmente le tasse e pretende perciò anche servizi pubblici adeguati. In definitiva, accanto a questa Italia “normale” che funziona serve una Italia più moderna dal lato del settore pubblico e dei servizi sociali, perché oggi abbiamo raggiunto il livello massimo di resilienza e di creazione di risorse che il settore privato può sostenere per tenere unito un paese profondamente diviso da divari di produttività e geografici.