Perché il rapporto tra le aziende e le banche condizionerà le elezioni umbre
La regione soffre di una riduzione di finanziamenti alle piccole imprese, che sono il 95 per cento del totale. Un altro dei motivi per cui l'Umbria può trasformarsi in uno swing state
Nel marzo 1985 il governatore democratico dell’Ohio, Dick Celeste, dichiarò la bancarotta della prima banca dello stato, la Home state saving bank di Cincinnati, ordinando di dar modo ai clienti di ritirare i loro soldi. Fu l’inizio di una crisi finanziaria che proprio in quegli anni fece dello stato del Midwest il simbolo non solo della Rust belt, la cintura della ruggine della vecchia manifattura (oggi sostituita da hi-tech, centri di ricerca e università), ma anche degli swing states che con l’instabilità politica indicano con buona approssimazione il futuro della Casa Bianca. L’Umbria non sembra rischiare una crisi simile e le sue banche sono state risparmiate dai default che ha coinvolto le vicine Toscana, Marche, Emilia-Romagna e Abruzzo. Ma – come emerge dal dossier della Cna, la Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola impresa – la regione soffre di un credit crunch, la riduzione di finanziamenti alle imprese, più grave di quello che ha investito l’Italia.
Guardando alle medie la riduzione dei prestiti dal 2011 al 2018 è in linea con quella italiana, meno 24 per cento. Nella regione però il calo è ininterrotto (13,999 miliardi di prestiti nel 2011, 10,644 nel 2018) e soprattutto è concentrato nelle piccole imprese, che rappresentano il 95,3 per cento di quelle umbre. Queste ultime hanno perso in otto anni il 30 per cento dei crediti, nove punti più della media nazionale a pari dimensione, mentre le imprese con oltre 5 addetti hanno perso il 23 per cento, due punti meglio della media. Il risultato è che le imprese più grandi beneficiano dell’88 per cento dei crediti lasciando alle piccole, cioè alla stragrande maggioranza, le briciole. Del Quantitative easing della Banca centrale europea l’Umbria non pare essersi accorta: ad eccezione di una modesta ripresa nel 2014, il calo dei prestiti alle imprese è appunto ininterrotto dal 2011 e ha avuto il momento peggiore proprio nel 2018. Il fenomeno non ha riguardato i prestiti alle famiglie, che in questi otto anni sono aumentati del sette per cento, un punto più della media italiana. Se si guarda ai depositi, crescono anch’essi, del 22 per cento quelli delle famiglie e del 52 delle imprese. Si tratta di percentuali comunque inferiori a quelle nazionali, con la differenza del settore pubblico e del no profit, i cui depositi si riducono in Umbria del 9 per cento rispetto a un aumento del 15 della media italiana.
Vizi pubblici e private virtù, in una regione dove la pubblica amministrazione ha un peso rilevante. Ma c’è un altro indice che illumina la situazione, ed è quello dei prestiti al netto dei crediti in sofferenza, i quali sono a loro volta al di sopra della media italiana (il record del 23,6 per cento è stato nel 2016, due anni dopo sono scesi al 14,7): il saldo dei prestiti al netto dei crediti inesigibili è del 39 per cento per l’impresa medio-piccola, al di sotto dei 20 dipendenti, ben dieci punti peggio della media nazionale. Soluzioni per ovviare a questo problema esistono, un argine alla contrazione di credito continua ad essere rappresentato dal sistema dei consorzi fidi che prestano garanzie alle banche su finanziamenti alle imprese – un sistema che andrebbe valorizzato e forse esportato a livello nazionale – e senza capire cosa c'è in ballo nel mondo economico nella regione non sarà possibile capire su cosa si giocherà domenica prossima la sfida tra i due nuovi poli della politica italiana.