Perché la quotazione di Saudi Aramco è un altro colpo per Teheran
L’Ipo di Aramco potrebbe risucchiare tutti gli interessi finanziari regionali, lasciando a secco le politiche d’investimento di altri player importanti
Roma. Dopo mesi di incertezza finalmente l’Ipo del secolo, quella della più grande compagnia petrolifera del mondo, la Saudi Aramco, è arrivata a una svolta. Dopo l’ok delle autorità del Regno e dell’autorità di vigilanza di Riad, i vertici della Aramco sono finalmente pronti a sbarcare sulla principale piazza finanziaria del medio oriente, la borsa di Riad. Uno dei nodi principali, quello che porta con sé le principali conseguenze geopolitiche, riguarda il prezzo delle azioni (il vero indicatore segnaletico del valore di questo titano del petrolio). Il principe ereditario Mohammed bin Salman, che ha fatto dell’Ipo uno dei pilastri del suo piano di riforme “Vision 2030” ha fissato il valore dell’azienda a 2mila miliardi di dollari ma gli advisor che lavorano all’Ipo hanno indicato che gli investitori non compreranno a quel livello. E proprio le differenze sono state alla base dei rinvii con il governo saudita deciso a ritardare il lancio fino a quando non fosse stato garantito quel target. Ma ora il gruppo petrolifero, il principale produttore al mondo, e i suoi banchieri starebbero puntando a una valutazione tra 1.500 e 1.800 miliardi di dollari. Riad ha individuato nove banche come global coordinator e joint bookrunner: Jp Morgan, Morgan Stanley, Goldman Sachs, Bank of America Merrill Lynch, Citigroup, Hsbc, Credit Suisse e due banche di investimento nazionali. Saranno loro che dovranno convincere gli investitori della congruità del prezzo delle azioni. Il nodo della valorizzazione, spiegano gli analisti, va valutato anche in termini di appeal dell'investimento sul fronte del ritorno per gli azionisti. Aramco, in settembre ha presentato una nuova politica di dividendi promettendo di pagare agli investitori, dal 2020 al 2024, un dividendo totale di 75 miliardi di dollari. Con una valutazione di 1.500-1.800 miliardi si garantirebbe un rendimento da dividendi del 4-5 per cento, in linea con quello di altre major.
Qualora le aspettative dovessero avverarsi, l’Ipo di Aramco potrebbe risucchiare tutti gli interessi finanziari regionali, lasciando a secco le politiche d’investimento di altri player importanti, il primo tra tutti, l’Iran degli ayatollah. La Repubblica islamica è uno dei principali sospettati dietro gli attacchi contro le installazioni petrolifere saudite dello scorso settembre – secondo il senatore americano Joe Manchin, che ha ricevuto testimonianze dirette dei manager della compagnia petrolifera, le prove sarebbero schiaccianti – e oggi la sua politica petrolifera verrebbe fortemente danneggiata dalla quotazione di Aramco. Non a caso, secondo alcuni analisti, Teheran starebbe già lavorando ai fianchi di alcune potenze alleate, come la Russia, per evitare che comprino ingenti quantità di azioni al momento della quotazione. Secondo gli analisti, non è un caso, per esempio, che il fondo sovrano russo (Rdif) avrebbe comunicato di volere acquistare piccole quantità di azioni Aramco. Del resto, l’industria petrolifera iraniana ha perso già posizioni nel corso degli ultimi mesi a causa delle sanzioni americane, come ha avuto modo di ribadire di recente il ministro del petrolio iraniano, Bijan Zanganeh, ma ha anche cercato di rilanciare la sua capacità di finanziarsi autonomamente i propri progetti petroliferi, come quello legato al nuovo terminal petrolifero nella regione di Makran vicino alla città di Kask. A regime, il nuovo terminal potrà avare una capacità di esportazione di un milione di barili di petrolio al giorno, con il pregio che il greggio non dovrà passare per lo Stretto di Hormuz. La cifra stimata per realizzare il progetto è di circa 1,8 miliardi di dollari e ovviamente la capacità di attrarre investitori sarà determinante per il suo completamento nei tempi sperati (2021). Tutto questo se i sauditi, con lo sbarco in borsa di Aramco, non metteranno i bastoni tra le ruote.