Far fuggire Mittal è un disastro ambientale
Le bonifiche sono costose e senza investitori veri per Taranto sarà un guaio
Mentre il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si confrontava con gli operai in sciopero che lo contestavano a Taranto davanti all’acciaieria Ilva, lo stabilimento andava gradualmente in sonno. Le forniture navali di minerali e carbone per alimentare gli altiforni si sono fermate nel porto di Taranto a conferma che ArcelorMittal è determinata a ridurre al minimo l’attività produttiva nella prospettiva di abbandonare l’investimento nel giro di un mese, come comunicato al governo dai vertici aziendali mercoledì. Il Parlamento in ottobre ha rimosso lo scudo penale considerato necessario dall’azienda – e dagli stessi commissari governativi – per proseguire l’attività. E’ questa una delle diverse motivazioni – insieme ai problemi giudiziari che riguardano l’altoforno 2 e la crisi del settore – che hanno spinto ArcelorMittal ad abbandonare l’investimento e il governo al momento non ha un piano B. Da mercoledì non attraccano più navi al molo pubblico del polo multisettoriale di Taranto dove Italcave Spa gestisce lo scarico dei minerali da luglio, ovvero da quando una delle banchine interne al siderurgico è stata sequestrata dopo il crollo di una gru durante una bufera in cui un operaio è morto. Per questo una parte dell’attività di scarico dei minerali si è spostata lì. L’attività del porto, impegnata all’80 per cento da Ilva, adesso è ridotta al minimo storico e agli scaricatori non è dato sapere se le consegne programmate verranno effettuate da Arcelor. La prospettiva di riduzione delle forniture di minerali necessari a tenere al minimo l’area a caldo è compatibile con la prospettiva di riduzione delle attività e lenta chiusura per consunzione. L’area a caldo impiega 5-6 mila addetti, che sono gli esuberi comunicati da Arcelor al governo come necessari. Purtroppo la crisi non sarebbe solo produttiva e industriale ma anche ambientale. Perché se quello stabilimento smette di produrre vuol dire che non ci saranno neppure gli investimenti e le risorse per l’ambientalizzazione, come dimostra la vicenda dell’Italsider di Bagnoli. Forse così tutti comprenderanno che ambiente e lavoro non sono in contrapposizione, ma sarebbe il modo peggiore possibile per rendersene conto.