Non più enarchisti. Perché Macron cerca un Marchionne per Renault
Grande svolta all’Eliseo sui manager dell’auto. L'interesse di Parigi per Luca De Meo, milanese e bocconiano, classe 1967, ora presidente di Seat
Milano. “Mi auguro che il nuovo amministratore di Renault sia un pro”, cioè un professionista dell’Auto. Sembra una banalità. Ma il messaggio del ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire ha una motivazione ben precisa: basta con i dirigenti industriali che hanno fatto carriera, passo dopo passo nella gerarchia di Michelin o dentro i ministeri.
L’Auto ha bisogno di un pilota che abbia nel sangue la passione delle quattro ruote. Uno, per intenderci, come Luca De Meo, milanese e bocconiano, classe 1967, uno che non avrebbe remore a prendere in mano l’eredità di quel “maudit” di Carlos Ghosn, da un anno intrappolato in Giappone senza aver ancora fatto harakiri. O a seguire le orme di Sergio Marchionne che a suo tempo lo scoprì in casa Fiat, prima di cancellarlo dalla sua vista quando il giovane manager, in aperto dissenso sugli obiettivi imposti all’Alfa Romeo, preferì rispondere al richiamo di Volkswagen incorrendo nell’anatema di super Sergio che non gli rivolse più la parola. Un po’ quel che è successo a Carlos Tavares, il numero uno di Psa/Fca, che a suo tempo venne cacciato da Ghosn in Renault per avere osato dire di sentirsi pronto per diventare il numero uno di una grande casa. Tanti segni che fanno pensare che sia proprio lui il possibile candidato alla guida della Régie, tra l’altro la casa in cui ha preso il via, più di un quarto di secolo fa, la sua carriera nel mondo dell’Auto, esperienza che gli ha garantito la perfetta padronanza del francese, una delle lingue, cinque in tutto, che parla correntemente. Compreso il tedesco, studiato con disciplina ferrea, quasi maniacale, una volta entrati nei ranghi di Volkswagen nella convinzione che a certi livelli per capire gli uomini non sia sufficiente l’uso dell’inglese, lingua universale del business.
Forse per questo in Bocconi decise di laurearsi con una tesi sull’etica degli affari, assolutamente anomala per quei tempi. Non stupisce, dato il curriculum, che Le Maire e il presidente Emmanuel Macron, sempre interessato (anche troppo, direbbe John Elkann) alle vicende di Renault, abbiano pensato a quel manager che seppe convincere Marchionne a rilanciare il marchio “500”, all’epoca rottamato nei magazzini di Mirafiori, per farne tra l’altro l’oggetto di una grande festa sul Po che segnò, almeno per un momento, la pace fra Torino e l’azienda. Non stupisce nemmeno che, dopo le anticipazioni del Figaro e dell’Echos, lo Stato maggiore del gruppo tedesco abbia drizzato le antenne, anche se lo stesso De Meo ha voluto smentire i contatti con Parigi. “Luca De Meo è totalmente impegnato con Seat, come ha affermato lui stesso in diverse occasioni da quando è stato nominato presidente della società nel 2015”, si legge in una nota aziendale. E lo stesso ha dichiarato Didier Leroy, numero due mondiale di Toyota, l’altro candidato. Non resta che Patrick Koller, ceo Faurecia, uno dei grandi della componentistica auto.
Ma, per dirla con Le Maire, un vero “pro” è altra cosa rispetto ai canoni abituali seguiti per la scelta dei pdg sfornati dall’Ena o dalle altre grandi scuole dell’Esagono, abituati ad agire entro precisi canoni cartesiani piuttosto che a infrangere le regole. Non a caso, su istruzione del ministro (o dello stesso Macron) i cacciatori di teste hanno scartato tutti i candidati interni, compresa la direttrice finanziaria Clotilde Delbos, numero uno ad interim di Rénault dopo la cacciata di Bolloré.
Ci vuole fantasia, magari quella punta di trasgressione che ha consentito a De Meo di rendere possibile il risveglio di Seat, fino al suo arrivo considerata la Cenerentola della flotta di Wolfsburg dove lui ha potuto fare quel che non era stato possibile in Alfa per poi avere oggi un ruolo importante nell’introduzione della piattaforma Meb che consentirà lo sviluppo delle auto elettriche del gruppo nei segmenti A e B, quelli delle auto cheap, sotto i 20 mila euro, una delle armi segrete dell’armata tedesca. Difficile rinunciare a questa sfida pur in salita, come ha dimostrato ieri il profit warning di Volkswagen.