I padroni dello svapo
Nonostante gli scandali, Trump non bandirà le e-cigarette per evitare un colpo alle urne. Indagine sulla psicosi portata dall'America per capire che in Europa svapare è sicuro per smettere di fumare
Tutto sembrava già deciso: il presidente Donald Trump, con il sostegno delle agenzie federali, era pronto a promulgare il divieto di vendita entro trenta giorni delle sigarette elettroniche al sapore di menta, frutta o altri aromi. Una decisione imposta dal boom del fenomeno presso gli adolescenti sotto la spinta di una lobby assai vicina al presidente, capitanata dalla moglie Melania e dalla figlia Ivanka, entrambe sensibili ai pericoli dello “svapo” presso i giovanissimi. Ma in dirittura d’attivo, quando già era stata indetta per il 4 novembre la conferenza stampa per proclamare la svolta, l’annuncio è rimasto nel cassetto. Il motivo? Le prossime elezioni, insinua il Washington Post, sempre critico nei confronti del presidente: il responsabile della campagna elettorale di Trump, Brad Parscale, gli ha spiegato in extremis, dati alla mano, che il divieto avrebbe avuto effetto devastanti sul voto in alcuni stati chiave in bilico tra repubblicani e democratici i democratici. E così Trump ha preferito decidere di non decidere affrontando l’ira di Alex Hazar, responsabile Health and Human Services della Casa Bianca e una sfuriata di Melania. L’episodio, confermato da più fonti, non è solo una testimonianza del ben noto cinismo politico del presidente (“non ha alcuna opinione o conoscenza della materia – confida un’anonima fonte della Casa Bianca – salvo quel che gli hanno detto Melania e Ivanka”) che ormai subordina alla convenienza elettorale qualsiasi decisione, dalla Siria al porto d’armi ma anche della straordinaria sensibilità assunta dalla contesa del fumo elettronico che, in Europa come negli Stati Uniti mobilita lobby di ogni genere, in campo medico, finanziario e politico.
Non passa giorno, ormai, senza che arrivi sul mercato una ricerca, il più delle volte generosamente finanziata dai “partiti” interessati di condanna o, più di rado, di assoluzione del “vaping”, cioè di una sigaretta elettronica che consuma vapore. Grande clamore a livello planetario ha sollevato un recente studio presentato dalla Food and Drug americana da cui è emerso un colpevole: la vitamina E acetato. Secondo le analisi condotte dal Center for Disease Control and Prevention, nel fegato di 29 malati affetti da danni polmonari simili a quelli che hanno colpito almeno duemila americani provocando la morte di 42 consumatori di sigarette elettroniche è stata individuata la presenza di Thc, il tetraidrocannabinolo), un ingrediente psicoattivo della marijuana che, addizionato alla presenza di vitamina E acetato sarebbe all’origine dell’epidemia di danni polmonari. Dai test condotti in tutti gli Stati Uniti è risultato è che su 595 tipi di sigaretta elettronica testati dalle autorità americane, il 70 per cento dei prodotti è risultato contenere Thc. A sua volta, la metà delle sigarette contenenti tetraidrocannabinolo ha presentato concentrazioni di vitamina E acetato all’88 per cento. Insomma, abbiamo il colpevole. O forse no.
La sentenza, infatti, inchioda la parte del “vaping” “selvaggia” che è sviluppata all’ombra del boom della cannabis negli States, a tutto danno di un settore che sembrava destinato a una crescita geometrica e che, al contrario, oggi fa i conti con danni d’immagine pesanti. Ma i prodotti finiti nel mirino sono frutto di miscele fai da te, composti non in commercio e potenzialmente pericolosi, perché spesso caricati con oli di marijuana. La circostanza, accusano i critici, non assolve il settore: l’e-cig, per gli adolescenti, è una sorta di cavallo di Troia, il primo passo verso il fumo vero e proprio. Una presunzione di colpevolezza che potrebbe portare a cause miliardarie anche per chi coopera alla vendita. E’ questa probabilmente la preoccupazione che ha spinto Apple a bandire dall’App store tutte le applicazioni che in un modo o nell’altro hanno a che vedere con il mondo delle sigarette elettroniche. Ovvero, se già avete una qualunque app sul vostro iPhone, potete continuare a utilizzarla senza alcun problema.
Insomma, un’epurazione a metà che ha colpito le aziende del comparto, tanto da fare saltare l’operazione dell’anno: la fusione tra Altria che controlla Juul con Philip Morris, da cui doveva nascere un colosso da 200 miliardi di dollari. Adesso la stessa Juul, per limitare i danni, ha annunciato la sospensione della vendita di uno dei suoi prodotti più popolari, la e-sigaretta aromatizzata alla menta giusto un mese dopo lo stop ad altri prodotti al gusto di mango, crema, frutta e cetriolo diffusi tra i teenager. Un successo che, parola del ceo K.C. Crosthwaite, “si è rivelato un boomerang”. Più saggia la strategia di Imperial Brands, com’è stato ribattezzato Imperial Tobacco, lo storico marchio britannico che si è dato una missione: “Il nostro gruppo – dice Enrico Ziino, head of Corporate affairs per il sud Europa – sta cercando di fornire ai fumatori adulti un’alternativa migliore alla sigaretta tradizionale, un prodotto semplice da usare e che consenta di ridurre i rischi per la salute”. Di qui la scelta di puntare su un sistema chiuso (niente fai da te, perciò), basato su un dispositivo alimentato da una batteria attraverso la quale si può inalare vapore che deriva dal riscaldamento di un liquido.
E’ la tecnica messa a punto nel primi anni Duemila da Hon Lik, un ricercatore cui fa difetto la modestia (“l’hanno definita la quinta invenzione cinese dopo la navigazione, la polvere da sparo, la stampa e la carta. Ma esagerano”, ha scritto) ma non una certa genialità. Accanito tabagista, nel tempo libero grazie alla disponibilità di una certa quantità di nicotina presso l’azienda in cui lavorava, ha messo a punto il sistema di vaporizzazione tramite ultrasuoni che, opportunamente modificato, è oggi alla base di MyBlue, la sigaretta elettronica basata sul vaping (da non confondersi con i riscaldatori tabacco) in cui l’azienda britannica ha investito 800 milioni di sterline, in buona parte servite a finanziare lo sviluppo della start up Nerudia, un concentrato di giovani talenti in arrivo da Dyson e da altre eccellenze dell’industria hi-tech che lavorano sul fumo senza tabacco di oggi e di domani: è qui che nascono le varie miscele di aromi, glicole propilenico, glicerina vegetali da somministrare assieme alla nicotina che può essere dosata dallo svapatore: la quantità sarà maggiore nella fase di passaggio dalle sigarette tradizionali al vaporizzatore, per arrivare auspicabilmente all’eliminazione totale della sostanza. Ma nei laboratori è già pronta la nicotina in pillole da mettere in commercio se e quando il mercato sarà pronto ad accogliere la novità. “La nicotina non è considerata di per sé il principale rischio per i fumatori di normali sigarette, le quali contengono oltre 7.000 sostanze dannose e cancerogene”, puntualizza Grant O’ Connell, direttore scientifico del gruppo britannico. “Come l’uso della cintura alla guida riduce il rischio di farsi male, così per i fumatori il vaping è un modo di assumere nicotina riducendo i rischi – commenta – Noi ci crediamo tanto perché è un modo per assumere nicotina senza l’aspetto dannoso del tabacco, come dimostrato da una forte base scientifica. La nostra azienda ha investito molto nella ricerca e nello sviluppo di questo prodotto per coprire la crescente domanda che c’è nel mercato”. Mica poca roba, se si pensa che l’Europa è il secondo mercato mondiale per la sigaretta elettronica dopo gli Stati Uniti, che hanno raggiunto nel 2019 un volume di vendite pari a 4,8 miliardi di dollari. Ma nel Vecchio continente si stima che la domanda possa salire a 7 miliardi di euro nei prossimi cinque anni.
E l’Italia, secondo uno studio della Luiss, è tra i mercati più dinamici con il 10 per cento dei volumi complessivi e un’incidenza di utilizzatori pari al 2,6 per cento della popolazione adulta, con un tasso di crescita a doppia cifra. Insomma, è a una bella torta che suscitare allarmi più o meno interessati e ad attrarre appetiti di parte. E a sollevare il quesito chiave: ma svapare fa male? Agli scienziati l’ardua sentenza ma una risposta la si può tentare. Sì, se parla di adolescenti, perché l’e-sigaretta può agevolare il passaggio verso la dipendenza. No, per un adulto che cerca di smettere, purché non si ceda alla tentazione di sperimentare miscele più o meno strane.