Tutto quello che i sovranisti dovrebbero sapere sul Mes
Perché non vale la pena stracciarsi le vesti per un accordo a garanzia della stabilità europea. Un ripasso
La destra sovranista ha appena scoperto un nuovo complotto dei burocrati dell’Europa per affamare il popolo italiano e mandarne in fumo i risparmi: il Mes (Meccanismo europeo di stabilità) e la proposta di riforma che dovrebbe essere ratificata entro fine anno dall’Eurogruppo. Addirittura, il leader della Lega ha parlato su Facebook di un crimine contro il popolo italiano e di alto tradimento.
Ma di che cosa si tratta? È giustificata la chiamata ai forconi/manganelli dei nostri sovranisti? In questo articolo sosterrò che si tratta di una materia complicata che Salvini, Meloni (e Di Maio) con le loro dichiarazioni dimostrano di non comprendere; sosterrò anche che le proposte di riforma del Mes, se declinate in modo appropriato, potrebbero essere di grande aiuto per gli italiani, i cui risparmi, è opportuno ricordare, sono stati messi a rischio proprio dalla bellicosa retorica anti europea del governo verde-giallo, e dal conseguente rialzo degli spread.
Ma cos’è il Mes e cosa fa?
Il Mes nasce da un Trattato europeo firmato nel 2012 per rimpiazzare i precedenti fondi salvastati, il Efsf (European Financial Stability Facility, e l’Efsm (European Financial Stabilisation Mechanism) creati nel 2010 per effettuare prestiti a Irlanda, Portogallo, Spagna e Grecia colpiti da severe crisi di debito sovrano e/o da crisi bancarie. Nel 2017 la Commissione europea ha presentato un progetto per trasformare il Mes in un Fondo monetario europeo, integrandolo nel cosiddetto Single Resolution Fund, lo strumento finanziario di ultima istanza per le risoluzioni bancarie del progetto l’Unione bancaria europea. Il Mes dispone di un capitale nozionale di 705 miliardi di euro, di cui 80,5 già versati dai paesi della zona euro sulla base delle loro quote nella Banca centrale europea, e può effettuare prestiti fino a 500 miliardi. A fronte del capitale, il Mes si finanzia emettendo titoli, oggi valutati Aa1 (da Moody’s) e AAA (da Fitch), con maturità che vanno da un mese o a quarantacinque anni. Le decisioni più importanti sono prese dal Board dei Ministri delle Finanze dei 19 paesi dell’area euro, all’unanimità. In circostanze speciali, è sufficiente una maggioranza qualificata dell’85 per cento dei voti. Notino i sovranisti che questo fatto attribuisce a Germania, Francia e Italia un vero e proprio diritto di veto, poiché questi paesi dispongono di oltre il 15 per cento dei voti. Il compito del Fondo salva stati europeo è analogo a quello del Fondo monetario internazionale: effettuare prestiti a paesi in difficoltà finanziaria per evitare conseguenze disastrose del default “disordinato”. Quando uno stato perde la fiducia dei creditori e non riesce più a finanziarsi sui mercati internazionali, non può ripagare il principale o gli interessi sui debiti contratti e fallisce. Così facendo trascina nel crollo del valore dei propri titoli le banche nazionali che li hanno comprati, le famiglie, i cui depositi le banche non possono restituire, le imprese a cui le linee di credito vengono chiuse. Per evitare questo scenario, il Mes dispone di vari strumenti di credito: prestiti per la stabilità macroeconomica, utilizzati quando i problemi nascono dal bilancio pubblico – questi vennero utilizzati da Cipro (2013) e Grecia (2015); interventi di acquisto di titoli pubblici sul mercato secondario (cioè già in circolazione) e primario (cioè al momento dell’emissione); assistenza finanziaria per la ricapitalizzazione di istituzioni finanziarie, usati nel 2012 in Spagna; iniezioni dirette di capitale per la ricapitalizzazione di banche, da utilizzare quando i fondi del Single Resolution Fund sono già stati impiegati; prestiti “precauzionali”, da utilizzare in maniera preventiva per ripristinare la fiducia del mercato.
Perché gli aiuti sono condizionati?
Il punto chiave è che queste linee di credito sono prestiti condizionati: la loro erogazione dipende cioè dalla stretta osservanza da parte del paese debitore degli obiettivi di bilancio e delle riforme concordate con il fondo, obiettivi che sono ritenuti necessari per riportare il paese alla solvibilità e alla crescita. La condizionalità è necessaria per diverse ragioni. La prima è che la responsabilità del fallimento di uno stato è dei sui governanti e delle politiche economiche irresponsabili adottate. Dunque, queste vanno cambiate. La seconda è che il fondo opera con i soldi dei contribuenti europei, i cui interessi vanno tutelati garantendo che questi prestiti siano rimborsati. Solo a questa condizione il fondo salva stati può rimanere un debitore affidabile, senior, e “girare” i bassi tassi a cui riesce a finanziarsi ai paesi in difficoltà. Infine, la condizionalità è necessaria per una ragione di azzardo morale: i governi che si sono indebitati troppo, quasi sempre per ragioni elettorali, non devono pensare di potersela cavare senza mettere in atto riforme necessarie ma (politicamente) costose. La questione dunque è la seguente: come garantire che i paesi a cui si prestano fondi, fatte le necessarie correzioni di politica economica, siano in grado di restituirli? Nel caso poi il debito pregresso sia tale da rendere il paese insolvibile, non sarebbe preferibile che debitore e creditori si accordino su un taglio al valore del debito, o una modifica dei termini di rimborso che permetta ai creditori di ottenere almeno una parte di quanto prestato, e al debitore di ridurre il debito, uscire dal fallimento e tornare sul mercato (ristrutturazione)?
Per queste ragioni, il Fondo monetario internazionale fino al 2010 stabiliva che un paese potesse accedere a prestiti di dimensioni “eccezionali” (Exceptional access policy) solo quando soddisfacesse tre requisiti: avere ampi bisogni finanziari, avere la capacità di ristabilire in tempi brevi l’accesso ai mercati dei capitali privati, avere un debito “sostenibile con elevata probabilità”. In mancanza di quest’ultimo requisito, il paese avrebbe dovuto preventivamente ristrutturare il proprio debito. Quest’ultimo criterio venne cambiato nel 2010, dietro fortissime pressioni europee, al fine di permettere alla Grecia di ottenere i prestiti del Fmi. Si introdusse la possibilità di violare criterio di sostenibilità, quando il prestito permettesse di scongiurare “rischi sistemici”. La mancata ristrutturazione del debito greco, invocata da Lagarde già nel 2010 e che poi avvenne solo nel 2012, è considerata da molti osservatori, incluso il sottoscritto, una delle principali ragioni che hanno costretto la Grecia a politiche di austerità eccessive. Nel 2016 il Fmi ha eliminato la “clausola sistemica”, introducendo un criterio flessibile che prevede la possibilità di ottenere un prestito dal Fmi, nel caso di debito non sostenibile con elevata probabilità, anche senza ristrutturazione. Questo potrebbe avvenire quando il paese riesca a co-finanziarsi con altri creditori privati e pubblici, caso per caso.
Che cosa cambia?
La proposta di riforma del Mes contenuta nel draft discusso alle Eurogruppo del giugno 2019 presenta qualche grado di ambiguità su questi aspetti. Da un lato restringe l’accesso al credito ai paesi membri il cui debito sia ritenuto sostenibile e la cui capacità di rimborso al Mes sia confermata mediante l’analisi di sostenibilità (par.12A); dall’altro, essa prevede casi eccezionali in cui il sostegno del Mes possa venire offerto considerando “una forma adeguata e proporzionata” di “private sector involvement” (sinonimo di ristrutturazione dei crediti detenuti dai privati), “in accordo con le pratiche del Fmi”. Potrebbe sembrare un ritorno ai criteri originali del Fmi (o debito sostenibile con elevata probabilità o ristrutturazione preventiva). Le perplessità espresse dalla Banca d’Italia riguardano la possibilità che quando un paese in difficoltà si rivolge al Mes si generi un’aspettativa di default che faccia fuggire gli investitori precipitando gli eventi. Questa preoccupazione è poco fondata, per almeno tre ragioni. La prima è che se un paese si trova nelle condizioni di richiedere il sostegno finanziario del Mes, o del Fmi, è poco plausibile che mercati finanziari non abbiano capito già che naviga in cattive acque e non abbiamo incorporato queste informazioni negli spread. La seconda è che, semplicemente, i paesi della zona euro verosimilmente troveranno un accordo sui criteri privi di automatismi, simili a quelli adottati dal Fmi. La terza è che, se così non fosse, i loro potenziali “clienti” si rivolgerebbero piuttosto al Fmi.
Rimane un punto importante che i sovranisti nostrani sembrano non capire: collegare i prestiti del fondo salva stati alla capacità di rimborso del paese debitore, e prevedere la possibilità di un taglio del valore del debito, è innanzi tutto nell’interesse del debitore (vedi il caso Grecia), oltre a quello dei creditori (i contribuenti e risparmiatori europei). Dunque, è interesse della stabilità finanziaria dell’Europa.
Paolo Manasse è professore di Scienze Economiche all'Università di Bologna