Green new Ilva
Il piano B è una riedizione del piano Bondi con Cdp, acciaieri italiani e (per il momento) Mittal
Milano. Tutto dipenderà dalla trattativa in corso con ArcelorMittal, ma è chiaro oramai che quando il primo ministro Giuseppe Conte alla ricerca di una via d’uscita ha detto ai ministri “portate idee per Taranto” sul suo tavolo è tornato il piano elaborato nel 2013 dal commissario Enrico Bondi. O meglio una sua versione riadattata che prevede la conversione verde dell’ex Ilva, ma per gradi. Del resto se il negoziato riaperto al ribasso con Mittal andasse a buon fine, è probabile che si ricorra a una delle opzioni messe a punto dall’ex ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, con i lavoratori in esubero assunti da una società pubblica, nell’ennesima dimostrazione che la classe dirigente si ribella al “tutto scorre” presocratico preferendo un più prosaico tutto torna. Sulla traccia fornita dal governo alcune partecipate di Cassa depositi e prestiti stanno studiando la fattibilità e la redditività dell’operazione. In prima fila c’è Snam, ma non è detto che non vengano coinvolte anche le altre partecipate di Cdp Reti, chiamata a fornire il sostegno al rilancio del polo siderurgico sul cui costo nessuno ha il coraggio di fare cifre precise. Sul fronte degli investitori privati il governo scommette sul trattenere il colosso franco indiano e affiancargli il gruppo Arvedi, già parte della cordata concorrente ai tempi dell’ultima gara per aggiudicarsi l’ex Ilva. Ma il partner italiano vede nella multinazionale un partner ingombrante e per questo per ora sta alla finestra e non si scopre, anche nell’attesa di capire quale governance e assetto societario potrebbe uscire dal cilindro delle trattative.
Il piano Bondi prevedeva per l’Ilva la riduzione dell’utilizzo del coke, più inquinante, e l’introduzione dell’uso del preridotto, un semilavorato del ferro che viene prodotto con l’utilizzo del gas naturale. Il piano di oggi riparte da lì e vede affiancate la produzione a carbone a una nuova linea alimentata a preridotto, incentrata su un forno elettrico e “pulita”. “Per renderla operativa servono almeno 28 mesi e una spesa dai 350 ai 360 milioni di euro”, dice Carlo Mapelli, professore di siderurgia del Politecnico di Milano e consigliere di amministrazione di Arvedi. “Se aggiungiamo l’impianto di laminazione e i forni fusori si arriva a un totale di almeno 700 milioni”.
Il negoziato con Mittal, oltre che sugli esuberi, si gioca ovviamente anche su questo: quanto recuperare della fabbrica monstre arretrata tecnologicamente e non messa in sicurezza di oggi e soprattutto quanto farlo a spese dello stato. Il problema è che a questo punto si gioca su tutti i fronti a ottenere le condizioni migliori possibili e non è un caso che, di fronte a un esecutivo che cerca di mettere insieme tutti i tasselli, c’è chi spinga per la nascita di due società distinte: una a gestire i due vecchi altiforni a carbone, l’altra il forno elettrico alimentato a preridotto. L’Ilva verde, se così si può dire e immaginare, è certamente più attrattiva.
Sul nodo dei capitali per ora siamo all’arte divinatoria. Il piano Bondi stimava 1,6 miliardi solo di investimenti. Alle latitudini di Taranto, le banche coinvolte sono sempre le stesse: Intesa San Paolo, Unicredit, Bpm. I Cinque stelle vanno ripetendo che il Green new deal europeo è la grande opportunità da cogliere, ma dalla Commissione europea hanno già specificato che gli investimenti non saranno scomputati dal calcolo del deficit solo perché legati alla riconversione energetica, restano dunque i fondi Ue e le stesse regole di flessibilità di cui finora l’Italia non ha saputo approfittare.
La rete di salvataggio che si sta preparando tirando le fila tra Palazzo Chigi e Cdp non esclude nemmeno una produzione di preridotto a Taranto. Una opzione che, nella prospettiva più rosea possibile, potrebbe significare forniture a nove zeri per le società che distribuiscono il gas. “Il governo non intende guardare a Cassa depositi e prestiti come a uno strumento per risolvere questioni meramente contingenti nel breve periodo, ma vuole assumere una prospettiva di lungo periodo”, aveva detto Conte all’anniversario di Cdp, l’11 novembre. Ma la prospettiva di lungo periodo, il piano B del governo, implica non solo una scommessa industriale a dir poco ambiziosa, ma anche domande con la D altrettanto maiuscola. E’ possibile recuperare i capitali senza ricadere nella formula dei capitani senza coraggio per investire, che a oggi sembra estesa a Mittal? Che strategia adottare per sfruttare la cornice europea di fondi e regole? Questioni strategiche complicate per un esecutivo che si accapiglia ed sulla manovra di dopodomani o su un caso Mes chiuso in Europa da mesi e non l’altroieri.