“Vieni a fallire in Puglia, Puglia Puglia!”. Bpb e il sovranismo bancario
Controllo familiare, management territoriale, credito relazionale. Il modello di “banca dop” che piace a Emiliano
Milano. Inventeranno le banche a km zero, gli istituti di credito a denominazione di origine protetta, nel senso di protetta dal mercato e dalla trasparenza, e a quel punto invece dei parametri di correttezza nella valutazione del rischio e nell’erogazione del credito, invece della auspicata sana e prudente gestione, si potrà scrivere a norma di legge che per fare il banchiere in Italia serve solo il patentino della territorialità e la disponibilità a fare sistema: cioè acquisire banche in perdita per mettere i crediti deteriorati sotto il tappeto. A sentire le dichiarazioni del presidente pugliese Michele Emiliano, che di fronte al collasso della Banca popolare di Bari paragona i commissari inviati da Banca d’Italia a dei colonizzatori e si consola perché almeno il presidente del Consiglio è pugliese e saprà indirizzarli, viene da pensare che siamo a un passo da mettere questi parametri nero su bianco .
Al posto della patente di competenza, quella dell’orecchietta. Ma almeno Emiliano è da ringraziare perché espone chiaramente il credo del “sovranismo bancario” con cui la classe dirigente ha affrontato il disastro seriale degli ultimi anni – una cornice che accomuna destra e sinistra, nord e sud e che cancella ogni lettura legata a imprenditorialità, competenza o equità sociale – e di cui la crisi dell’istituto pugliese è solo l’ultimo esempio.
L’azzeramento de facto delle azioni dei 70 mila soci e il buco da un miliardo che ora il governo si appresta a ripianare è frutto esattamente della gestione made in Puglia a cui si appella il governatore. La Popolare di Bari è stata per 40 anni nelle mani del pugliese doc Marco Jacobini che, una volta accerchiato, l’ha lasciata in eredità a figlie parenti – Luigi e Gianluca e Gianvito Giannelli – e guardando al cda 2014-2016 si contano sei consiglieri su undici pugliesi, cinque del barese, tre di Bari vecchia o nuova. Al netto delle diverse vicende finanziarie e giudiziarie, lo stesso modello visto a Genova e a Vicenza, ad Arezzo e a Siena. E anche a Bari il loro compenso è svincolato dai risultati. Jacobini chiude il 2018 incassando 2,5 milioni di euro, oltre al compenso annuale di 573.475 euro, mezzo milione di euro per l’ex ad Giorgio Papa, ai due Jacobini jr 363 mila e 345 mila euro, e poi 106 mila a Venturelli, 99 mila a Viesti. In un anno fanno 34 riunioni e 420 milioni di euro di perdite. Del resto nel 2014, l’anno del via libera all’operazione Tercas, Vincenzo De Bustis, salentino d’adozione, porta a casa 789 mila euro. E viene richiamato, nel nome della conoscenza del territorio, anche nel 2018 dopo che Banca d’Italia aveva chiesto (metà 2017) “con l’ingresso di elementi con specifiche competenze in materia bancaria e finanziaria”. Lo stesso criterio è applicato ai prestiti, erogati a imprese pugliesi sull’orlo del fallimento o per progetti portati avanti da newco su cui era difficile fare una valutazione o su aree di cui ancora non c’era stata la lottizzazione da parte del Comune di Bari. E’ questa l’interpretazione corretta dell’economia pugliese che invoca Emiliano?
Ma la popolare è modello esemplare anche su altri fronti. La Banca d’Italia racconta di una lunga storia di ispezioni inframmezzata dall’acquisizione di Banca Tercas – una delle varie aggregazioni approvate dalle autorità che hanno portato a risultati disastrosi –, come se le irregolarità si fossero concentrate prima e dopo. L’operazione avviene con un contributo del Fondo interbancario poi bocciato dalla Commissione europea, a sua volta condannata dalla Corte Ue, proprio mentre entrano in vigore norme ben più stringenti sui requisiti di capitale. Via Nazionale rivendica oggi di aver sollecitato un rafforzamento patrimoniale. E infatti tra 2014 e 2015 la banca emette 260 milioni di euro di obbligazioni subordinate (con due emissioni a sei mesi di distanza l’una dall’altra) e altri 330 milioni di azioni, ma intanto il mercato dice già da anni che le azioni delle banche popolari non sono in linea con i valori del settore, e quindi che si vendono prodotti illiquidi che poi non potranno essere mobilitati a un prezzo maggiore. Le prime analisi sono del 2013, i primi esposti per le profilazioni scorrette dei clienti del 2014. Già nel 2016 i titoli vengono svalutati una prima volta e i soci giustamente chiedono di vendere. Copione già visto. Le banche venete sono cadute sotto i colpi delle ispezioni e sopraffatte dalla fuga dei capitali già da un anno. Ma proprio perché già visto, avrebbe dovuto imporre un’accelerazione nella gestione della crisi. E invece – e qui è la differenza che rende mastodontico il caso della Popolare di Bari – il cda si arrocca e vigilanza e politica insieme ne seguono gli equilibri interni senza intervenire direttamente o cercando di favorire l’istituto, mentre da Consob piovono multe da 1,95 milioni di euro. Per quattro anni, un tempo immane per i mercati, la banca fugge dalla trasformazione in Spa, imposta nel 2015 e rinviata ad libitum, l’ultima volta con il decreto crescita. Vengono offerte agevolazioni fiscali e come dichiara la stessa banca nella relazione al bilancio 2018 si studiano progetti di aggregazione con altre popolari. Il tutto mentre la governance resta quella di sempre. E ancora Banca d’Italia ammette come la trasformazione avrebbe giovato dal punto di vista della raccolta di capitale, ma siccome i clienti avrebbero potuto chiedere il recesso – a fine 2016 i titoli valevano 7,5 - non se ne fa nulla. I diritti degli azionisti vengono dopo. Anzi vengono negati, magia, in nome dell’interesse degli stessi azionisti.
E oggi che quelle azioni sono di fatto azzerate, si presenta come cura una Banca d’investimento pubblica senza riflessione su ciò che è stato, ma addirittura con un attacco scomposto ai commissari, arrivati da fuori e persino troppo tardi. Sul mercato Hi-Mtf le azioni e le obbligazioni della popolare pugliese erano già state sospese il 4 dicembre. Ma tanto in Puglia il mercato non vale.